L’uomo ed i figli più grandetti lavoravano laggiù, mangiati dal sale e dalla malaria: in casa rimaneva la moglie sempre gravida e con un grappolo di marmocchi intorno; rimanevano i vecchi nonni invalidi ed una sorella scema: chi andava e veniva continuamente in giro, era la suocera, la vecchia Geppa, che doveva essere stata generata in un momento di burrasca, perché non stava mai ferma e dava l’idea di un albero maestro tentennante al vento con intorno la vela attorcigliata e rotta.

Dopo i maschi, la Geppa era quella che si rendeva più utile alla famiglia; poiché non tornava una volta a casa senza il grembiale colmo di roba. Non che domandasse l’elemosina, che anzi non guardava in faccia nessuno, e neppure 24

rispondeva se un viandante le chiedeva il nome di una strada, ma cercava, e cercando si trova sempre qualche cosa: fascinotti di legna nella pineta, fuscelli lungo la spiaggia, more e pigne, oggetti anche di valore abbandonati dai bagnanti e sepolti dalla rena, pesci buttati dai pescatori della sciabica, funghi ed erbe, qualche zucca, o grappoli d’uva sporgenti dai campi dei contadini; infine radici buone anche per i continui disturbi dei bambini.

I bambini non l’amavano, forse perché li costringeva a trangugiare questi amari intrugli: e neppure i grandi la vedevano di buon occhio.

C’era qualche cosa di strano, quasi di inumano, in lei, nei suoi occhi rotondi e fissi, come quelli delle vipere, nei suoi larghi piedi di palmipede, nell’andatura veloce e silenziosa: quando lei non era in casa si respirava meglio, mentre il suo riapparire, alla sera, sulla porta grigia e ventosa della catapecchia, dava un senso di fantastico, come s’ella fosse stata a commettere del male, ma in un mondo di spiriti, e cacciata via da questi ritornasse sulla terra con le ombre della notte.

L’aprirsi ed il vuotarsi del suo grembiale riconciliava un po’ tutti, con lei e con la realtà.

Un giorno d’autunno il bambino ultimo, nato da pochi giorni appena, mentre la madre lo allattava, rifiutò il seno di lei e si mise a piangere forte; un pianto che pareva quello di un uomo disperato. La donna si accorse che non aveva più latte: pallida, anzi azzurra in viso, s’accostò il bambino agli occhi, quasi volesse nutrirlo con le sue lagrime: egli però non si chetava; e d’un tratto lo si vide cadere dalle braccia di lei come un frutto che si stacca dal ramo; ed ella piegarsi come a raccoglierlo.

Era morta.

Nello scompiglio dell’ora solo la vecchia Geppa taceva. Aiutò il salinaro a stendere la donna sul letto, e quando si convinse che nulla c’era da fare, prese il bambino, il cui pianto risonava più forte fra quello degli altri, quasi egli si sentisse il più toccato dalla disgrazia, e lo portò fuori, per svagarlo e farlo tacere. Ed anche durante la giornata ella non rientrò a casa.

Il salinaro, istupidito dall’angoscia, coi capelli ed i lunghi baffi gialli spioventi come quelli di un annegato, quando si recò al paese per denunziare la morte della moglie, - per esaurimento del sangue, aveva dichiarato il medico della salina, - fece ricerca di lei.

Sì, l’avevano veduta entrare da una contadina benestante, che allattava un bambino, poi scendere verso la spiaggia, e nel pomeriggio battere alla porta della villa del podestà, dove c’era una grossa balia nera con le mammelle lunghe e gonfie come quelle di una vacca.

Domandava l’elemosina del latte per il bambino.

Il salinaro non approvò questo metodo; non per orgoglio, ma per bile: poiché anche lui odiava la suocera e la considerava come un’intrusa: e quando alla sera ella tornò col bambino sazio adagiato sopra il grembiale colmo di patate, la strapazzò malamente. I ragazzi ed i bambini mangiarono tuttavia, condite col sale, le patate che ella mise a bollire, e fu lei che accese un candelino per rischiarare l’ombra intorno alla figlia morta.

Venne il giorno dopo il prete, per conto della direzione della salina, e prima di portar via la donna, parlò in disparte col vedovo.

Era un pretaccio selvatico, col viso scuro di barba, i gambali sotto la sottana, le scarpe coi chiodi: lo si vedeva sempre in bicicletta, e viveva anche lui in una casupola addossata alla chiesetta del cimitero, del quale era cappellano.

Senza tanti preamboli disse:

- Si tratta di dare il vostro ultimo bambino alla sorella della contadina Signani, dalla quale vostra suocera ieri lo ha portato per farlo allattare. Il cognato della Signani è fattore delle tenute del conte Lanza: sta bene, quindi, e poiché non ha figli desidera adottarne uno. Darebbe anche qualche cosa. Si capisce.

Disse forte questo «si capisce» battendo il pugno come per applicare il timbro ad un contratto.

Il salinaro abbassò la testa; si morse le labbra; poi disse:

- Lei mi garantisce che il bambino sarà trattato bene?

- Perdio!

- Allora le darò una risposta domani.

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Fu quindi tenuto una specie di consiglio di famiglia. I vecchi genitori del salinaro, resi insensibili dalla miseria e dalla malattia, furono del parere di dar via il bambino, per il suo stesso bene…

Geppa invece, intorno alla quale adesso, smarriti nel vuoto improvviso lasciato dalla madre, i nipotini si stringevano con affetto, disse la cruda verità:

- Volete venderlo per non dargli da campare.

Bastò questo perché l’uomo, indeciso e angosciato, si sollevasse crudele.

- È proprio così, sapristi!

Il bambino intanto piangeva, rifiutando di succhiare un pezzettino di zucchero avvolto in uno straccetto ch’ella inumidiva con la sua saliva. Era adagiato sul letto della madre, e la vecchia aveva l’impressione che la povera morta fosse ancora lì, lunga, col viso triste, del colore del mare sotto la luna.