Da tanto tempo il cavallo non nitriva più.
L’uomo gli prese la testa fra le mani, come quella di un suo simile, poi lo fissò negli occhi.
- Tu indovini il mio pensiero, creatura di Dio. Sì, sono venuto a riprenderti con l’intenzione di attaccarti al frantoio. Il tuo padrone morto mi maledirà; ma vivere bisogna.
Lo attaccò al frantoio: e si vide una cosa straordinaria. Il cavallo parve ringiovanire: tirava la macina con forza; non si fermava se non quando il padrone lo fermava.
E ancora stanno lì, tutti e due, a lavorare assieme, felici come due giovani che hanno risolto il problema della loro esistenza.
COSE CHE SI RACCONTANO
33
Questa la raccontava il grande e decorativo Aroldo, mentre sparecchiava la tavola: la raccontava al benevolo e curiosissimo scrittore, del quale era cuoco, cameriere e, insomma, factotum.
- Mi stia a sentire: lei, che scrive tante storie sorprendenti, non ne ha mai forse immaginata una come questa. Quando dunque stavo nella Clinica, dove facevo da cuoco, da cameriere e sopratutto da infermiere, venne portata, di notte, al pronto soccorso, una signorina giovane giovane, bellissima, che aveva tentato di uccidersi. Prima si era sparata alla testa, poi al cuore; ma si era ferita solo al polmone, e sebbene il suo stato fosse gravissimo si tentò di salvarla.
L’accompagnava la madre, che aveva un aspetto alquanto equivoco; mentre la signorina, bianca e bionda, sembrava un serafino. Dopo averla curata, il professore ordinò che le si dessero, di ora in ora, due cucchiai di brodo ristretto. Ed ecco, la mattina dopo, il professore viene giù in cucina, per le solite ordinazioni, e mi dice: «Senti, Aroldo, tu mi devi fare un piacere: il brodo, al numero due, lo porti tu: perché la madre della malata dice che finora il brodo non è stato buono. Eh?». Quando il professore nitriva quell’eh? tutto il personale tremava. Io dunque mi ci misi d’impegno e preparai un brodo che avrebbe fatto risorgere Cristo al primo, non al terzo giorno.
E lo porto. La signora lo assaggia e dice: «Benissimo». Io imbocco la signorina, che sta ad occhi chiusi e sembra una statua di cera: e così si continua, fino a sera: a sera l’infelice parve riaversi. Aprì un momento gli occhi e mi fissò: e fu come se un tempo mi avesse conosciuto e adesso, pur nel suo deliquio, mi riconoscesse. L’impressione che ne provai fu quasi di terrore: come se anch’io vedessi un morto riaprire gli occhi e fissarmi. Mi spiego meglio: come se il morto guardasse un’ultima volta nel mondo solo per la mia persona. E tanta fu la mia impressione che tornai giù in cucina e dissi alla suora: «Io, dal numero due non ci voglio andar più». E infatti non ci andai.
Andai a letto, piuttosto, stanco morto, e mi addormentai come una pietra. Ma verso la mezzanotte un sogno strano mi fece svegliare. Dunque, nel sogno mi si accostò una giovane donna. Era quella del numero due, ma sana, fresca, vestita da ballerina: però sembrava anche un angelo.
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