37
E una sera ancora calda di ottobre il sor Pio credette di sognare. Era l’ora del desinare, quando le strade sono deserte ed i lumi già accesi contro il rosso e il glauco del crepuscolo.
Anche il ciabattino è stato dal salumaio suo amico: dal barile accanto alla porta ha preso per la coda due aringhe d’oro brunito, e buttandole sulla bilancia ha fieramente ordinato:
- Pesami questi due polli.
Adesso le squartava, in fondo al suo antro che puzzava tutto di lucido come una scarpa nuova, quando il chiarore della porticina si oscurò. Egli si volse, sdegnato che non lo si lasciasse in pace neppure a quell’ora; spalancò gli occhi, poi d’istinto si pulì le mani col fazzoletto.
La testa gli girava; tutte le coppie delle scarpe addormentate qua e là come un gregge disperso, si misero a camminare, andando incontro alla donna che scendeva la scaletta: una donna che più scendeva più sembrava alta, con un mantello i cui lembi indoravano gli scalini come le stelle filanti lo spazio che attraversano.
Il suo viso bianco illuminò di una luce fantastica la casa del ciabattino. Era la signora del villino di fronte.
Col gesto lento di quando lo faceva nel salotto delle sue amiche, si slacciò il bavero del mantello, e il sor Pio vide che dalla borsa di lei sbucavano senza paura le teste bionde di due filoncini di pane e il collo di cigno d’una bottiglia di latte. Con la mano inguantata ella intanto gli porgeva un’altra borsa, di pelle marrone, in forma di libro, chiusa a chiave, di quelle che si usano per le carte di valore.
- Guardate un po’, sor Pio, se la si può ridurre più piccola e leggera: togliere, per esempio, lo scompartimento di mezzo.
Sor Pio! Ella lo chiamava così, come un’antica conoscenza. Ed anche lui sentiva d’un tratto sprofondarsi la distanza che li separava, sbalzati assieme nello stesso rango d’umanità povera e quindi fraterna.
Tuttavia accigliato, palpò la borsa, la guardò sotto e sopra come una scarpa da rimontare: gli parve un lavoro un po’ difficile per lui, ma non lo disse.
- Per quando le occorrerebbe?
- Possibilmente per domani mattina. Serve a mio figlio, per la scuola.
- La scuola?
Ella sorrise, con dentro gli occhi azzurri la fiammella di riflesso di quelli meravigliosamente ingenui di lui.
- La scuola la va a fare lui. Filosofia e lettere, in un Liceo - aggiunse, per intendersi bene.
Egli lavorò tutta la notte; e gli pareva di disfare e rifare finalmente il mondo a modo suo, come aveva sognato. Sentiva che anche dentro la vecchia pelle del suo corpaccio, il mondo si rinnovava: lo scompartimento dove si nascondevano i cattivi documenti veniva soppresso: eppure non intese bene lo scopo di tutto quel lavorìo se non quando, nel raggiante mattino di ottobre, vide il giovine con la borsa sotto il braccio, passargli davanti come un fante in corsa di battaglia, e lo seguì con gli occhi velati di lagrime.
L’AQUILA
Al contrario del profeta Elia nutrito dal corvo, era il vecchio Elia che portava da mangiare alla sua aquila.
Vivevano tutti due in luogo degno di loro; in una rocca principesca, che, dopo molte vicende storiche, era stata adibita a prigione politica; sopra un borgo grifagno, in cima ad un monte di pietre che parevano blocchi di acciaio.
Elia vi era stato carceriere e, adesso, sgombrato il luogo dai suoi tristi abitanti, vi rimaneva come guardiano. E vi rimaneva perché riceveva un piccolo stipendio, le legna per l’inverno, le mancie dei visitatori, ed infine perché non sapeva dove andare.
38
Era venuto quasi ragazzo dai paesi del sud, con un cuore tutto sole e l’accento gorgheggiante degli usignoli: il mestiere, il tempo, il luogo, lo avevano indurito e raggrinzito come una pera che si secca non maturata sull’albero.
Anche l’aquila, egli ricordava di averla veduta arrivare, tutta ricca di piume, di superbia e di inesperienza, e posarsi sulla rocca come lo stemma sopravvivente degli antichi signori del luogo. Era stato lui a catturarla: dopo averle spezzato un’ala con un tiro di pallini, l’aveva presa, grande, dura e palpitante, le penne fulve insanguinate, e se l’era stretta al petto con rimorso e pietà.
Adesso vivevano assieme, soli, lui in una stanzaccia terrena che doveva essere stata una sala d’armi, l’aquila in un cortiletto attiguo, appollaiata su un mozzicone di quercia, sopra una fila di cavoli bluastri.
Egli non sapeva ancora se la sua compagna era rassegnata e se gli voleva bene: certo, essa non tentava di andarsene; ma ogni volta che lo vedeva lo guardava fisso coi suoi occhi feroci, stringendo forte gli artigli intorno al ramo come per frenarsi di saltargli addosso.
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