Egli aveva paura: si accostò alla porta e tentò di scusarsi.

- Che cosa devo fare? Se vado a disturbarli, quel porco mi ammazza come un cane.

Ma giuro a Dio che domani vado a denunziarlo alla moglie e al podestà: giuro a Dio.

L’aquila parve placarsi. Al chiarore della luna dovette ritornarsene nel suo covo e riaddormentarsi.

Il vecchio buttò fuori nell’ingresso gli avanzi della cena e si barricò nella sua camera, deciso a non guardare più in faccia l’oste scellerato.

All’alba quei due se ne andarono. Egli aspettò che il rumore del carrettino si smorzasse, ed il vento si portasse via, con esso, il peccato mortale; poi chiuse il portone e aprì la porta sul cortiletto. E gli parve di affacciarsi ai sotterranei vuoti e di doverci restare, solo, per sempre.

L’aquila non c’era più.

IL LUPO NEL BAULE

La notte si annunziava afosa, calma però, di una calma anche troppo grave.

Seduti davanti alla casetta, il cui spiazzo chiaro di ghiaia era illuminato solo da una striscia di luce che usciva dalla cucina dove la servetta alpestre finiva di rigovernare, i due sposi stagionati si godevano l’alito umido dei prati sottostanti.

Il marito fumava la pipa, contento di poter finalmente sputare per terra senza destare sguardi di rancore e improperî silenziosi: la moglie, con le mani intrecciate sul ventre mansueto, pensava all’appartamento caldo, illuminato a giorno, attraverso le cui finestre aperte arrivavano le musiche esasperanti dei pianoforti e delle radio dei vicini di casa; e dove il figlio, la nuora, i nipoti, rimasti padroni del campo, ricevevano gli amici e facevano gazzarra.

- Fate pure, - pensava, - noi siamo salvi.

Ad onta di questa salvezza, si sentiva triste, con un senso di esilio e quasi di morte nel cuore. Ricordava quando le era nato il figlio, portato subito dopo a balia; e il conseguente dolore del distacco, il vuoto della solitudine, nonostante il sollievo fisico dopo tante lunghe sofferenze attraversate.

Il marito doveva pensare la stessa cosa, perché fra una boccata e l’altra, disse, quasi fra sé, ma con rabbia:

- La Pia, almeno, ti rimpiangerà.

La moglie si sentì subito presa, stretta, scaldata dalle braccia nude, dal viso voluttuoso, da tutto il bel corpo adolescente della nipotina prediletta; rispose tuttavia, con voce assonnata:

- Oramai Pia è una giovinetta; è tutta della sua mamma; ed è giusto che così sia.

- Non che m’importi, sai, - egli riprese, però sempre sdegnato, - io non mi sono mai fatto illusioni. È legge di natura che i figli e i nipoti siano ingrati verso i genitori e i nonni. E noi non lo siamo stati? Adesso ciascuno a suo posto, lontani e in pace. Quando torneremo in città e avremo il nostro alloggio a parte, verranno loro a cercarci. Sta’ pur sicura: essi hanno bisogno di noi, più che noi di loro.

La moglie accennava di sì, di sì: poiché il patrimonio era ancora tutto del marito, e le chiavi della cassetta di sicurezza della Banca le aveva lui: ma nello stesso tempo ella vedeva gli occhi di nocciuola della Pia raggiare intorno, nel vuoto di fuori e di dentro, e pensava che la chiave dei veri tesori dei nonni la teneva lei, la bella e fresca nipotina.

La servetta intanto aveva finito di rimettere prudentemente a posto i bei piatti nuovi, sui cui fiori meravigliosi ella si era più volte piegata come per odorarli; e da buona figlia di povera gente abbassò la luce della lampada, che 41

non serviva più che per i signori di fuori. Ai signori diede la buona santa notte e, stanca, se ne andò a dormire in uno dei due lettucci della camera terrena, dove c’erano pure l’armadio della biancheria e il grande baule vuotato di questa.

- Anche di questa capretta possiamo essere contenti, - disse il padrone; - fa il suo dovere e sa il fatto suo più di quella sfrontata ladra che avevamo in casa.

- Sì, - ammise la moglie, - è un po’ tonta, ma veramente buona. Sì, possiamo essere contenti.

E in contentezza se ne andarono a letto, sicuri di passare una buona santa notte.