Ma verso un’ora, si sentì come lo spalancarsi violentissimo di una grande porta, e un rombo di vento fece tremare la valle. Tutti gli usci, le porte, le finestre della casa scricchiolarono, anzi parve dovessero cadere, spezzati e abbattuti da misteriosi colpi di ascia. Il padrone accese il lume e rassicurò la moglie.
- Si prevedeva: era troppo caldo. Per fortuna è tutto chiuso bene.
- Spegni, spegni, - disse lei, - passerà.
Non poterono però riaddormentarsi: non solo, ma l’uomo dovette riaccendere il lume e la donna si sollevò rabbrividendo, perché agli urli del vento e ai gemiti delle finestre si unì un fievole ululato che pareva quello di un lupicino chiuso in qualche camera della casa. Cessò un momento, poi riprese più forte, spento di nuovo dallo scoppio di un tuono; e quando l’ultimo brontolìo di questo fu a sua volta ingoiato dal turbine, l’ululo si fece chiaro e sboccò in pianto umano.
- È quella stupida di ragazza - disse allora il padrone, fra sdegnato e contento; e anche la donna sospirò: perché, senza volerlo, senza confessarselo, entrambi avevano creduto ad una voce soprannaturale, di qualche spirito o di qualche sconosciuto animale rinchiuso nella casa.
Continuando il lamento, la signora scivolò giù, pesante e svogliata, dal gran letto matrimoniale. Santa pazienza! Ella ricordava d’istinto quando, altre e altre volte, si alzava, di notte, percossa da qualche rumore nelle camere dei ragazzi: e ancora le doveva rimanere nel sangue stanco e nelle membra adesso arrugginite la prontezza dell’amore materno, se nonostante la noia e il disagio del momento si coprì alla svelta e scese giù rapida la scala fredda, col lume la cui fiammella spaurita voleva volar via come un piccolo uccello rosso. Anche l’uscio della camera terrena s’era spalancato e si divertiva a sbattersi contro la parete. Ogni cosa era in movimento: solo la bambina, ché tale sembrava col suo visino bianco e gli occhi turchini da bambola, stava immobile, in una specie di covaccio che s’era formata con la coperta e i guanciali, e piangeva senza lagrime.
La padrona le toccò subito le orecchie, sotto le treccioline gialle.
- Febbre non ne hai: sei fredda, anzi; perché strilli così? Hai paura?
- Sì, sì - disse l’altra, afferrandole il braccio. - Là, là…
- Che c’è là? Dove?
- Là, dentro il baule… C’è un lupo.
La padrona rabbrividì ancora, volgendosi a guardare il baule: ricordava l’ululo sentito prima del pianto della servetta, e credette storditamente alle parole di questa. Un rigurgito di rimorso e di angoscia le salì dal cuore. Un lupo in casa? Un lupo magari diverso dagli altri, piuttosto lupo fantasma che lupo vero, infine un essere misterioso apportatore di scompiglio e di ansia, chiuso non si sa come né perché nel baule di famiglia, non era un castigo di Dio per i due vecchi egoisti che avevano abbandonato la loro casa con l’illusione di rifarsi una vita nuova, tutta per loro?
Poi, data anche l’immobilità maestosa e il silenzio impassibile del baule, la donna sorrise.
- Va là, tu vaneggi. Lasciami andare e dormi.
La ragazza però si offese; si sollevò, s’ingrandì.
- Le dico che c’è - affermò con voce risonante.
Suggestionata, la padrona si accostò al baule: e l’avrebbe aperto, senza quel sentimento di terrore sovrannaturale che, suo malgrado, la riafferrava tutta.
D’altronde, neppure la ragazza voleva; anzi gridò:
- Non apra, per carità, non apra.
Poi si nascose sotto le lenzuola e di nuovo si mise a gemere.
- Mamma mia, mamma mia: ma perché, ma perché?…
42
La padrona le tornò accanto.
- Sì, bambina, hai ragione: ti abbiamo strappato dal tuo nido, ti abbiamo tolto alla tua mamma, alle tue sorelline, al tuo gregge, per portarti in questa solitudine senza calore e senza pace. È giusto che tu abbia paura del lupo. Il lupo c’è, nel baule vuoto; il lupo dell’egoismo.
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