- La nostra fortuna non mi meraviglia, - diceva con calma alla madre, - e poi è appena cominciata. Io lo sapevo già che si sarebbe stati contenti. Siamo gente buona, che lavora, che fa il proprio dovere. Dio ci ha portato via il babbo, ma non ci ha lasciato orfani: perché Dio è sempre il padre della gente per bene.

Questi discorsi non meravigliavano la madre, neppure a sentirli in bocca a quel palo di suo figlio vestito da granatiere: erano l’eco dei suoi insegnamenti, il fiore spuntato dalla sua lunga pazienza, dalla sua religione di madre.

Serata felice fu quella per loro due, accompagnati, nella quiete della piccola casa, dall’ombra luminosa del figlio lontano. La stanzetta da pranzo, che di giorno era grigia e triste per la luce bassa del cortile interno del palazzone popolare, rischiarata adesso dal globo lunare della lampada elettrica, sembrava un’altra. Arabeschi d’oro risaltavano sulla carta verdastra delle pareti: sull’ottomana dello stesso colore, che alla notte serviva da letto, mazzi di peonie e di tulipani inverosimili si offrivano, con la gioia sfacciata dei loro colori, a chi li guardava. Un po’ d’oro e fiorellini più miti sorridevano anche attraverso il cristallo della credenza, sull’orlo delle tazzine da caffè, sulla pancia scintillante della zuppiera, sul cappuccio del bricco per il latte: tutto pulito, in ordine, in solitudine.

Madre e figlio, intorno alla tavola ovale, parlavano senza sosta: di Gianni, del suo commercio di frutta secche, dei suoi progetti, dell’avvenire. La parola

“denaro” sbocciava come il lieto motivo di tutto il loro discorso, ma senza risonanze avide, anzi con devoto rispetto, come la parola “salute” in casa di gente che è stata a lungo inferma.

- Non saremo mai ricchi come quell’arpia dello zio Merlin, ma…

La madre intervenne, convinta.

- Non parlare così di lui; oggi, con me, è stato come un fratello.

- Oggi! Perché calcolerà di fare un bel guadagno alle nostre spalle. Ma che sia stato mai capace di mandare un piccolo vaglia a questo disgraziato granatiere che ha bisogno di due razioni di pagnotta!

- Non importa, Geppe: d’ora in avanti tutto andrà meglio.

E con questa certezza nel cuore, madre e figlio si disposero a passare la notte: lei nella camera da letto che era a destra del piccolo ingresso, lui nella stanza da pranzo. Preparò da sé il letto, ma prima di coricarsi, poiché non aveva voglia di uscire, lesse e rilesse una rivista illustrata, dalle cui pagine una mezza dozzina di belle artiste cinematografiche, una più smorfiosa dell’altra, invano tentavano di toglierlo dalla sua casta soddisfazione di ragazzo finalmente ricco.

48

Quando le attrici svenevoli, i grandi avvenimenti mondiali, i costumi delle bestie, le caricature, i motti per ridere, le sciarade e le “figure da ricomporsi” furono passati e ripassati in rivista, egli sbadigliò e se ne andò a letto: e subito, come un sacco di sabbia nel mare, cadde in un sonno profondo.

Ma aveva mangiato troppo, quella sera, e sogni brutti non tardarono a tormentarlo. Ecco, è tornato in caserma: ha nascosto, nella cassetta militare, il bel volumetto dei cinquanta biglietti da mille consegnatogli dalla madre; ma i commilitoni lo sanno e tentano di rubarglielo. Ad ogni modo c’è anche la madre, che si è nascosta nella camerata e veglia: e quando un soldato nudo, tutto peloso, striscia fino alla cassetta e introduce un uncino nella serratura, ella grida:

- Geppe mio!

La sua voce muore strozzata, e Giuseppe si sveglia, freddo di terrore: vede un barlume sulla vetrata del suo uscio e indovina subito la verità. I ladri sono in casa.

D’un salto prese la rivoltella e fu nell’ingresso. Un mostro nero, armato e mascherato, era nella camera della madre: frugava nel cassettone, con le spalle all’uscio aperto, e fece appena a tempo a voltarsi che Giuseppe lo colpì alla testa. Cadde bocconi e non si mosse più.

Solo allora il giovine vide la madre imbavagliata, nel letto disfatto. Gli occhi di lei erano aperti, vivi, ma traboccanti di uno spavento senza fine.

- Non ti muovere - egli disse, dopo essersi assicurato ch’ella non era ferita. -

Bisogna prima avvertire la Questura.

E la baciò, per rianimarla e rianimarsi.