Ma il gelo col quale le cose terribili e inesplicabili della vita incrinano per sempre il cuore dell’uomo, tornò a colpirli, quando l’agente della Questura, volto in qua il morto, che giaceva nel suo sangue come l’ubriaco nel vino vomitato, gli spiccicò dal viso la pelle nera-rossastra della bautta, e madre e figlio riconobbero in lui l’impresario Merlin.
TRAMONTI
Melanconia dei bei tramonti d’autunno in riva al mare! L’ombra insottilita delle ville chiuse si allunga, evadendo dalle cancellate dei giardini, e questi, con le rose di cera e i cipressetti color d’amaranto, battuti dal sole basso e dello stesso colore, hanno la quiete vitrea dei cimiteri: il mare stesso, coi suoi riccioli bianchi e un brontolìo metallico di preghiera, dà l’idea di un vecchione solitario, abbandonato dalla sua numerosa famiglia.
Anche il signor Radamisto si era impuntato a restarsene solo nella sua villa, servito da una famiglia di contadini lì accanto; e voleva rimanerci il più a lungo possibile: apposta s’era fatto costruire un camino nella camera d’angolo, a fianco della vetrata azzurra di mare e di cielo; e molti libri gli tenevano silenziosa compagnia.
Non aveva motivi speciali recenti per condannarsi volontariamente a questo confino; fuorché un timor panico sempre più crescente della città, dei suoi rumori, della sua aria cattiva, della gente che ha fretta, dei giovani che non rispettano i vecchi, dei vecchi che si vergognano di esserlo.
Egli non era vecchio, ma neppure più giovane; vedovo di due mogli sterili che gli avevano fatto passare la voglia di sposarne una terza.
Del resto era sereno: andava a mangiare, e gli piaceva mangiar bene, nella trattoria del paese: andava a leggere il giornale nel caffè accanto, e non sdegnava una partita a carte o a bocce con le personalità e i benestanti del luogo: infine si era fatto paesano e se ne trovava bene: e chi sta bene non si muove.
Ma un giorno cominciò dunque a sentire la melanconia dei tramonti di autunno in riva al mare. Caduto il sole, una nebbiolina verde illividiva il paesaggio, le zanzare invadevano le stanze illuminate, le cose tutte si rattristavano. Forse era già tempo di accendere il caminetto, e il signor Radamisto pensò di avvertire il contadino, perché portasse la provvista della legna. Anzi, al 49
ritorno dalla trattoria, si domandò se forse non era anche bene mangiare in casa, la sera, facendosi preparare qualche buon cibo semplice dai contadini stessi.
Il tempo umido gli pesava addosso, la strada era disagevole, e la nebbia crescente smorzava i pochi lumi che la rischiaravano; la malinconia del crepuscolo faceva come la nebbia: si addensava, si oscurava di tristezza. Ed ecco, i fantasmi del passato rincorrevano e sorpassavano l’uomo. Uno, quello della prima moglie, coi lunghi capelli biondi sciolti sulla veste di schiuma, scivolava e si fondeva col pallore nebbioso del mare. Ella si era annegata, a vent’anni, dopo due di matrimonio.
L’altro, quello della seconda moglie, piccolo e tutto nero, lo precedeva, come incerto se tornare indietro e accompagnare il cammino di lui, o dileguarsi fra le ombre deformi delle tamerici a fianco della strada. Per undici anni amanti, vivo il primo marito di lei, rimasta anche lei vedova, si erano sposati; dopo undici mesi ella era morta di febbre spagnola.
- Via, via, caro Radamisto, lascia correre: esse sono morte a tempo, e stanno bene, molto più bene che se fossero vive. La felicità non è di questo mondo.
E che il dolore, fantasma denso e vivo, si appostasse in ogni angolo del mondo, glielo confermò il lieve gemito di una donna seduta sul parapetto del fosso, nel crocevia prima di arrivare al viale litoraneo.
All’apparire di lui, il lamento cessò; la donna, tutta imbacuccata di nero, rimase immobile, quasi tentando di non essere osservata; ed egli, infatti, passò dritto; poi ci ripensò e tornò indietro.
- Che fate qui a quest’ora? - domandò risoluto, fermandosi davanti alla donna, mentre questa già si alzava di scatto, spaventata senza dubbio, ma anche piena di coraggio, e, nel barlume grigio che li circondava, egli ne intravedeva la giovinezza e la distinzione: non certamente di contadina.
Anche lei rispose d’impeto, con voce aspra ed accento straniero.
- Che le importa?
- A un galantuomo importa sempre di sapere che fa una donna sola, di notte, seduta a piangere sul parapetto di un fosso.
- Io non piango, signore.
- Adesso no, ma poco fa sì.
Rassicurata, ma forse anche desiderosa di restare di nuovo sola, ella disse:
- E si immagini che io aspetti da due ore una persona che non viene, che forse non verrà più; che può importare a lei?
- Va bene; ma se invece di un galantuomo passasse di qui un farabutto?
- Eh, si grida. Vedo un lume laggiù.
- Già, è la casa dei miei contadini; ma prima che quelli si muovano, lei può gridare quanto vuole. È meglio che lei, poiché la persona che aspetta non viene, torni a casa sua.
- Non ho casa.
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