Anzi bisogna che ti prepari la ciotola per bere, povero Leo.

E lo fece. Ed ecco, nel sollevarsi vide che una fiammella celeste, una specie di fuoco fatuo, sgorgava da un foràmine della cenere; tornò al suo posto per ricoprirla, ma non lo fece subito; gli occhi le si incantarono nel guardarla; il tempo passò: di nuovo ella sentì qualche cosa di vivo al suo fianco, di nuovo fu avvinta da un laccio di sogno; ma come diverso dal primo! Il cane aveva lasciato il suo posto di soggezione per tornare davanti al camino. Ella tese la mano, per toccarlo, timidamente, come un cieco che cerca un sostegno: il cane gliela leccò. Allora ella sentì davvero mancarle il respiro; perché quello che succedeva nel suo cuore, riaperto all’amore che dà e riceve e non ha limiti nei regni della natura, era un mistero ch’ella non poteva e forse nessuno sa spiegarsi, ma che le ridonava il senso della giovinezza.

LA SORGENTE

Il giovane padrone ed il suo vecchio servo Pietro andavano a messa. Era una domenica di luglio, fulgida di azzurro e di verde, d’oro e di rosso: persino le gelide e dure tartarughe, lasciati i loro covi umidi, stridevano d’amore; e le vipere giovani attraversavano rapide i sentieri, a testa alta, con gli occhietti umani lucenti di gioia.

Eppure il vecchio servo brontolava.

- Ammazzali, questi contadini; non sono buoni neppure a schiacciare le vipere ed a mangiarsi, cotte in umido, le squisite tartarughe. Guarda poi, padrone, come il frumento è invaso dai rosolacci e come gli alberi sono pieni di formiche.

Questi maledetti villani non sono buoni che a rubare nella divisione della raccolta ed a praticare l’usura nel vendere. Non parliamo poi di questi 53

poltronacci qui, golosi, superbi e libertini. Uno di loro, il più anziano, è stato questa notte con una donna maritata.

A questo punto il padrone, dal quale tutti quelli maltrattati dalla lingua sciolta del vecchio servo dipendevano, e che stava ad ascoltare distratto, o meglio come in estasi per la visione meravigliosa della natura intorno, si fermò un momento, colpito; ma subito scosse la testa quasi per significare «lascia correre, Pietro, sono cose del mondo», e riprese a camminare.

Poiché i fannulloni, golosi e donnaiuoli, a detta del servo, erano i frati del convento verso il quale i due uomini andavano per ascoltare la messa.

La piccola chiesa era già gremita di popolo; nel bel prato davanti, tutto ombreggiato d’alberi, si attardavano solo alcuni vecchi che nel veder passare i due nuovi venuti si misero la mano sopra le irte sopracciglia gialle per guardare meglio.

Il padrone salutava tutti, mentre Pietro stringeva le labbra per non proseguire nelle sue aspre osservazioni.

La porta della chiesetta era spalancata: si vedeva in alto, sopra la massa bruna punteggiata di viola e di bianco degli uomini e delle donne già tutti inginocchiati, l’altare bianco e scintillante come una tavola apparecchiata: ma il celebrante si faceva aspettare. Quando questi apparve, alto, vestito di bianco, roseo e liscio in viso come una donna, il padrone, che con Pietro aveva preso posto in un cantuccio in fondo alla chiesa, vide d’un tratto il servo, già inginocchiato, balzare in piedi e andarsene fuori dando qualche gomitata ai vecchi fedeli ritardatari.

Il giovane signore non pensò neppure di seguire il servo e domandargli che cosa succedeva: rimase anzi inginocchiato, sempre più raccolto in sé, ad assistere al divino mistero.

Gregario umilissimo fra gli umili gregarii suoi dipendenti, nessuno di questi lo riconobbe: tanto che, finita la messa, egli rimase ultimo, e quando uscì vide, nel prato, solo, appoggiato ad un albero, il vecchio servo bisbetico che lo aspettava.

- Ebbene, Pietro, che ti è successo?

Pietro lo guardò stupito, quasi esasperato.

- È possibile, - disse, dandogli come al solito del tu, - è mai possibile che tu, con tutta la tua intelligenza, proprio tu non abbia indovinato?

L’altro taceva, interrogandolo solo coi suoi dolci occhi di mandorla fresca.

Pietro tese il braccio, col pugno stretto, verso il convento.

- Quel frataccio era il meno degno di celebrare la messa: è lo sporcaccione che ha passato la notte con una donna maritata.

Rifecero la strada che conduceva alla casa del padrone, lassù dove la pianura sconfinava con l’azzurro del cielo. Solo una donna, a metà strada, riconobbe il giovane signore ed uscì frettolosa dall’aia della sua fattoria per salutarlo.

Era una ricca contadina, già anziana ma ancora fresca, rossa e bruna. Prima di tendere la mano al padrone se l’asciugò col grembiule, sebbene non fosse bagnata, e mentre lui gliela teneva entro la sua candida e quasi incorporea, ella, al solito, cominciò a lamentarsi:

- Tutto a me tocca a fare, nella mia casa e fuori; sono io che dirigo i lavori dei campi e tengo da conto i raccolti; mio marito ed i miei figli lavorano sì, anch’essi, ma pensano anche a spassarsela, a mangiar bene, a vestirsi con lusso, a frequentare le sagre e le fiere, a bere ed a fare all’amore. Io sola non mi prendo nessuno svago: il boccone più scarso e scondito è il mio; le mie vesti sono sempre le stesse.