Eppure i miei uomini non riconoscono le mie virtù, anzi mi accusano di avarizia e a volte arrivano a maltrattarmi. Che ho da fare per contentarli?
Il padrone domandò:
- Sei tu contenta di te stessa?
- Oh, questo sì. Quando, la notte, stanca, vado a riposarmi e penso: ho fatto il mio dovere, e domani ricomincerò, mi pare di entrare nel regno dei cieli.
- Tu lo sei già, Cosima Damiana - egli le disse sorridendo; ed ella rientrò in casa tutta raggiante, come se avesse trovato un ultimo adoratore.
Pietro, si sa, continuava a brontolare: era il suo mestiere.
54
Oltrepassato il campo della brava contadina, mentre la strada si faceva alquanto erta ed il sole scottante, egli disse:
- Invece che venirci a cantare le sue lodi, avrebbe fatto meglio, quella comare, ad offrirci una limonata. Stavo anzi per chiedergliela, ma ho avuto timore di disturbare la sua avarizia: ed ho fatto male, perché adesso crepo di sete.
- Troveremo qualche sorgente.
- E dove la troveremo, adesso? Non vedi che ci siamo inoltrati nello sterpeto, e tempo ci vuole, prima di rientrare nel coltivato.
- La troveremo, vedrai.
Ma Pietro sbuffava e sudava; nella bocca arida la sua linguaccia rifiutava di muoversi oltre.
Il padrone lo sbirciava, camminando lieve e silenzioso sulla polvere che pareva cenere calda. Quando vide che il servo non ne poteva più si fermò; col bastoncino dorato che teneva in mano aprì la siepe della strada e con gioia il vecchio vide che di là, in un recesso, fra pietre e verdi rovi coperti di rose canine, gorgogliava una fontana. Aprì a forza di braccia la siepe, ed entrambi penetrarono nel luogo improvvisamente fresco e delizioso: e mentre si piegava e beveva dalla coppa nodosa delle sue mani giunte, il padrone sedette su una pietra e col bastoncino cominciò a segnare parole misteriose sul musco del suolo.
Quando Pietro si fu dissetato, e con le mani bagnate si rinfrescò anche il viso, il padrone gli domandò:
- Sei contento?
- Sono come quella donna quando va a riposare: mi pare di essere nel regno di Dio.
- Dunque quest’acqua è buona; ne convieni? Sì: ed altrettanto buona era la messa, alla quale tu non hai voluto partecipare. Ebbene, Pietro, tu mi darai adesso una soddisfazione: va e cerca la sorgente di questa fontana.
Pietro andò: poco dopo riapparve atterrito ed umiliato.
- Padrone, l’acqua di questa fontana zampilla da un cranio di bestia pieno di vermi.
Il padrone non replicò; ma, scritte sul musco, il servo lesse queste parole:
- Se tu paragonavi la messa all’acqua della quale si ha sete, che t’importava della sorgente?
Poi entrambi, Gesù ed il suo servo Pietro, venuti di persona a verificare come andavano le cose di questo mondo, ripresero a camminare verso la loro casa, lassù dove la terra sconfinava con l’azzurro dell’orizzonte.
IL CIECO DI GERICO
Quando il nobile don Felice Maria Chessa De-Muro previde la terribile disgrazia che doveva accadergli, sparì quasi misteriosamente dalla sua casa e dal suo paese.
Gli amici, e tanto meno i nemici, dovevano sapere che egli temeva di diventare cieco: i primi se ne sarebbero inutilmente addolorati, i secondi ancora più inutilmente rallegrati.
Dunque, partenza. Senza valigia, senza neppure cappotto, col suo vestito alquanto goffo e trasandato di tutti i giorni, il colletto di colore e la cravatta nera un po’ bigia di grasso, ma con le tasche ben fornite di biglietti da mille, dopo aver detto alla vecchia e potente madre che ancora amministrava l’ingente patrimonio del quale era usufruttuaria:
- Oh, mama, vado a Roma per veder di collocare bene il nostro formaggio stagionato; e questa volta, poi, voglio proprio vedere il Papa - si guardò nello specchio grande, cosa che prima non usava mai fare.
Attraverso le ombre che gli passavano davanti agli occhi, ed erano ardenti come fiamme nere, si vide da capo a piedi; e vedersi e pensare ad una quercia fu tutt’uno per lui. Piuttosto piccolo di statura, robusto senza essere grasso, aveva una grande testa resa enorme dai capelli crespi, di un grigio che tendeva al rosso come appunto la chioma invernale delle querce: e come il picchio nel cavo del tronco di queste, gli pareva che dentro i suoi occhi verdognoli si annidasse e vi battesse incessantemente il becco un uccello divoratore.
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Era stato altre volte a Roma, e la conosceva a menadito: ma non era dentro la città ove egli andava.
Scese alla stazione di Portonaccio, ed a piedi s’internò nei dintorni, nelle strade della campagna dove però la città lentamente inonda e sommerge le abitazioni rurali.
Egli non ricordava bene il nome della località ch’era la sua mèta, ma ne ritrovava la strada, dapprima larga, con palazzi in costruzione accanto a casupole nere con scalette esterne e ballatoi cadenti; e fra gli uni e le altre sfondi di verde con note violente di papaveri e macchie pallide di sambuco; poi assottigliata in un viottolo fra siepi di biancospino e campi di fave piegate sotto il peso dei loro lunghi baccelli cornuti.
Ecco finalmente il lieve groppo, che dall’altra parte si sprofonda in un largo avvallamento, ecco la casetta rossa e la lunga tettoia dove Alessandra Porcheddu, la sua antica serva, da molti anni qui emigrata col marito ed altri compaesani, esercita una rustica trattoria frequentata da carrettieri di passaggio, dagli operai delle nuove costruzioni, e soprattutto dai casari dei dintorni.
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