Egli adesso sedeva davanti alla sua tavola sullo spiazzo sopra l’avvallamento.

La tovaglia pulita era per lui, il bicchiere di cristallo, le posate di stagno, tutto per lui; un lume ad acetilene inondava con la sua luce lilla il crepuscolo verd’azzurro, e l’odore agreste della mentuccia e del sambuco dava l’illusione di trovarsi in cima ad una collina.

Don Felis mangiava la frittata di piselli, alla quale Lisendra doveva aver mischiato dello zucchero perché sembrava un dolce; beveva la fredda e melanconica acqua Lancisiana, e di tanto in tanto sollevava la forchetta come un tridente, minacciando qualcuno nascosto nell’ombra.

Era il suo stesso fantasma che egli minacciava e irrideva.

- Oh, don Felis, a questo ti sei ridotto, a nutrirti di pisellini come gli uccelli, e bere il vino bianco naturale; tu che masticavi la carne cruda e bevevi l’acquavite nella tazza grande. Va, va al diavolo: vattene via di qui, miserabile; va ad impiccarti al fico, nel cortile di casa tua. Perché continui a fare questa vita, quando tu stesso sai che non c’è speranza di miglioramento?

Una sera che il lume, per desiderio di lui, non era stato acceso, poiché il crepuscolo sfolgorante dava alle cose come una luce loro propria, mentre egli si disperava e discuteva col suo fantasma, una strana figura apparve nel sentieruolo che s’inerpicava sulla china dell’avvallamento.

Saliva su piano piano, tastando la terra e i cespugli intorno con un lungo bastone, come fanno i ciechi: dal vestito marrone stretto alla vita sembrava un frate; ma la testa era avvolta in un fazzoletto che pareva un cappuccio bianco; tanto che, arrivata all’orlo del ciglione, alta sullo sfondo rosa e arancione del cielo, la grande figura diede a don Felis l’impressione di una guglia di monte con la cima profilata di neve.

- È una donna: è una suora cieca. Come diavolo ha fatto ad arrampicarsi fin quassù? - egli si domandò.

E gli parve che un senso di mistero lo avvolgesse; o piuttosto ebbe una raccapricciante sensazione fisica, come se un ragno gli sfiorasse il viso tessendovi su la sua tela bigia.

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La suora si avanzava dritta verso la tavola, e chiamava sottovoce:

- Alessandra? Alessandra?

Rispose don Felis:

- Lisendra è di là, nella cucina. Che volete?

Ma la suora non ebbe il tempo di rispondergli che già Lisendra era apparsa e col suo riso muto tentava di persuadere l’uomo a non impressionarsi per l’insolita apparizione.

- Sono qui, sora Cetta: come mai è arrivata fin qui, sola?

La suora, che era una donna ancora possente, e nella linea dritta e dura ricordava a don Felis la madre lontana, agitò il bastone e mosse le palpebre sul vuoto azzurrognolo degli occhi.

- Non sono sola, figlietta mia; l’angelo mi accompagna.

Il forestiero sorrise beffardo.

- Già, come Tobia, già!

- Proprio così - rispose la donna, tendendo la mano come per afferrare l’invisibile compagno e presentarlo agli increduli.

Lisendra a sua volta la prese per il braccio e tentò di portarsela via, di là, nella casa; ma la suora resisteva, e d’altronde don Felis la invitava a restare.

- Porta una sedia, Lisé, ed anche un mezzo litro di quello buono. Posso offrirvelo, suora Cetta? O l’hanno proibito pure a voi?

La suora gli si accostò, fino a toccarlo, guidata dal suono delle parole di lui: e gli parlò in modo strano, piegandosi, con accento sommesso di confidenza.

- E chi può proibirmelo? I dottori? I dottori non sanno nulla; e il vino è santo: è il sangue di Cristo.

- Oh, va benissimo! Adesso c’intendiamo proprio. Qua la mano. Lisendra, portane un litro, di quello rosso di Marino: vero sangue santissimo.

Così la cieca sedette alla tavola dello straniero; ed egli non si pentì del suo invito, poiché Lisendra disse:

- Questa suora Cetta può raccontargliene, don Felis! È la zia del padrone della vaccheria. Adesso sta in casa con lui e con la famiglia, ma ha girato tutto il mondo. Anche nelle terre dei selvaggi e di quelli che si mangiano gli uomini, è stata.

- E che diavolo cercavate laggiù?

La cieca toccava il bicchiere che egli le colmava; lo accarezzava con la punta sensibile delle dita, e pareva ne sentisse salire il vino, perché quando fu pieno lo accostò alle narici e lo odorò come un vaso di fiori. Il suo viso levigato e bianco di statua si colorì lievemente, quasi riflettendo il colore granato del vino, le labbra si aprirono ad un sorriso giovanile. Però non bevette subito.