La parola feroce è detta; ed è come il tuono che apre la tempesta. Meglio così, piuttosto che l’incubo delle nuvole chiuse.

- Tu sei pazza - dice il babbo, ma anche la sua voce è diversa.

- Sarò pazza, ma vedrai che è così. Era una cosa troppo bella, quasi sovrannaturale, il nostro fidanzamento - io rispondo con voce sommessa: e d’un tratto mi alzo, vado nel vano della finestra e piango forte.

Billa mi corse accanto, mi si avvinghiò forte e cominciò a piangere anche lei: del che Fausto rise sghignazzando; ma subito il suo cattivo strido si storse e cadde come quello di un uccellaccio colto dal piombo del cacciatore.

Il babbo gli aveva dato uno schiaffo.

Questa tragedia secondaria annullò in qualche modo la mia; cessai di piangere, confortai Billa, e tutte e due allacciate torniamo a tavola. La sorellina si volge a Fausto con un viso vendicativo e beffardo che mi fa sorridere: mi sembra il viso stesso del mio dolore che guarda e sfida la realtà crudele.

- Dopo tutto, - dico, - io non ho fatto nulla per meritarmi il suo abbandono; e se egli mi ama tornerà; se non mi ama, peggio per l’anima sua. Non è mio marito, dopo tutto.

- Così mi piaci - esclama il babbo, e un senso quasi di gioia, di vera gioia, mi solleva tutta, nel vedere che il suo viso s’è rischiarato, che la mia forza si riflette in lui, che sono io, insomma, a far coraggio a lui.

E, certo per ricambiarmi il dono, egli prende a scherzare sulla mia paura, e finisce col promettermi una cosa che io non osavo, per la mia stessa paura ed anche per orgoglio, domandargli:

- Domani andrò a vedere cosa diavolo gli è capitato.

Delle notizie che il giorno dopo egli portò serbo un ricordo aggrovigliato e torbido come quello dei cattivi sogni.

E tutto, del resto, fu un sogno, prima e dopo, uno di quei sogni mortali dai quali invano si tenta di risorgere. Ci si dice: sogno, mi sveglierò; ma intanto si rimane sepolti sotto le sue ali nere e fredde di vampiro che ti succhia l’anima, amica mia.

Mio padre, dunque, era stato in casa di lui per domandare notizie. Egli abitava una camera mobiliata, presso una signora straniera che non lo vedeva mai perché anche lei impiegata in un negozio. Ebbene, egli aveva pochi giorni prima pagato puntualmente la pigione, e dopo la sera di San Giovanni non era più riapparso in casa. Anche lei paurosa di una disgrazia aveva telefonato alla Questura e agli ospedali, ma nulla risultava di lui.

La camera egli l’aveva lasciata in ordine, con poche carte senza interesse e oggetti di vestiario invernali. Tutto il resto, compresa la sua valigia, era sparito. Egli dunque era partito: per dove? Perché? Anche al suo Ufficio, una Banca succursale di banche straniere, nessuno lo aveva più veduto. I suoi colleghi commentavano in vari modi la sua scomparsa: solo il Direttore, interrogato da mio padre, non faceva induzioni, non dava notizie. Eppure forse lui solo sapeva.

Fu la notte più lunga della mia vita: fu come la notte di una partoriente. Di tanto in tanto mi assopivo, poi il dolore mi risvegliava, più forte, più insistente: boati di maremoto salivano dalle mie viscere, e tutto era scroscio 7

di rovina: ma sentivo che da quel disastro qualche cosa doveva salvarsi, forse la più preziosa, come avviene appunto nei disastri materiali.

Io non avevo nulla da rimproverarmi; null’altro che di essermi abbandonata ciecamente ad un amore fuori dei nostri tempi, e di aver troppo veduto Dio nelle pupille di un uomo.

Quest’uomo adesso mi appariva mostruoso, inconcepibile. E cominciavo quindi a spiegarmi il mistero di certi delitti contro natura; di bambine violate e uccise: non aveva fatto altrettanto di me, lui? Ma sentivo in fondo che questo sentimento era odio: dopo tutto egli avrebbe potuto farmi davvero del male, anche la sera di San Giovanni, sul fieno odoroso di voluttà.