Infatti la resa della guarnigione e l’apertura delle porte della cittadella provocano conseguenze di una gravità drammatica. Insomma, la cittadella assediata possiede un rigore e una solidità ben superiori a quelli del campo degli assedianti, e Faber pensava che Cléricourt costituisse un’immagine ideale agli occhi degli anglo-borgognoni costretti a quel modo sotto le sue mura da una sorta di fascinazione. «Come farfalle notturne attorno a una lanterna» mormorò con un fremito di orgoglio, dal momento che, quella lanterna, l’aveva accesa lui ed era lui ad alimentarla.
Il vocio persisteva al tavolone e le monete passavano con violenza da un giocatore all’altro. Il pigliatutto era chiaramente Exmoor. Davanti a lui, le vincite formavano una montagnola di denaro che le sue mani cariche di anelli accarezzavano distrattamente. Stanco del gioco, fece infine una pausa, poi un gesto di cui nessuno parve risentirsi, ma che sembrò grottesco e ripugnante a Faber. Come infastidito dal caldo, si tolse l’enorme parrucca dal capo e la piantò con violenza sulla brocca di birra più vicina. La metamorfosi era sorprendente. Privato della sua criniera dorata –
che gli conferiva una potenza e un’innocenza leonine – la testa di Exmoor apparve nella sua oscena nudità, faccia rubiconda e triste i cui occhioni malinconici nuotavano nelle lacrime.
I convitati avevano fatto silenzio, come se assistessero a una scena abituale di cui conoscevano l’importanza e lo svolgimento. Exmoor fissava la sua parrucca con tale insistenza che riusciva a trasmetterle una sorta di vita fittizia. D’un tratto Faber non credette alle proprie orecchie. Una vocina stridula e imperiosa usciva dalla parrucca.
Diceva: — Johnny, non hai fiducia! Ti preoccupi. Sei troppo fortunato al gioco!
— È vero — rispose Exmoor. — Troppa fortuna ai dadi è di cattivo augurio.
Ciascuno di noi possiede soltanto una certa quantità di fortuna. Se la sprechiamo per una manciata di scudi, non ce ne resta più per le grandi cose. Un soldato in guerra dovrebbe rallegrarsi di soffrire di reumatismi, di essere ingannato dalla moglie o di perdersi il soldo ai dadi. Ciascuna delle sue disavventure sarà un passo verso la vittoria delle sue armi.
— Povero pallone sgonfio! — disse con un sogghigno la parrucca. — Sbrigati a rimettermi sulla tua testa. Sei come Sansone, la tua forza è nella capigliatura. Con me, sei il beniamino della fortuna. Puoi vincere impunemente al gioco e poi vincere battaglie. Perché gli uomini, secondo te, portano la parrucca? Per proteggersi dalla pioggia del cielo o dalle cacche degli uccelli?
Exmoor aveva teso una mano stanca verso la parrucca. Se ne impossessò e se la rimise in testa. Poi, scosso da una sorta di trance collerica, colpì il tavolo con un pugno che fece sussultare coppe e caraffe.
— For God’s sake, messer veneziano, che osservate da un’ora Exmoor, re dei ventriloqui, sapete cos’era in realtà il Vello d’Oro che Giasone e i suoi Argonauti sono andati a cercare in Colchide? Era una parrucca, messer veneziano, era la mia parrucca, la linguacciuta che mi strapazza non appena me ne separo! Ebbe’, vi sfido ai dadi, messer veneziano.
1 comment