Faber ne approfittò per alzarsi e avvicinarsi alla sua poltrona.
— Conte Exmoor — gli disse, — non ho mai nascosto le mie origini plebee, giacché non me ne vergogno. È vero che mio padre era mastro ebanista e mia madre figlia di un artigiano della stessa corporazione. Mi hanno insegnato a rispettare la nobiltà, e non mi frulla nemmeno per il capo l’idea di ridere di voi, checché facciate di sorprendente. Ma mi sono dedicato allo studio e ho il culto dell’intelligenza. Mi proponete di giocare contro di voi a dadi, e io vi chiedo quel mirabile calice contro una posta di valore non certo inferiore. Si tratta di uno specchio pure veneziano, uno specchio bombato del tipo sorcière che vi darà un’immagine di voi stesso quanto mai esorbitante.
— Sta bene — borbottò Exmoor, — metto in palio il mio calice. Fate portare il vostro specchio; la vedremo!
— Conte Exmoor — riprese Faber, — non è possibile in questo momento. Abito molto lontano da qui e il mio specchio non è una cosuccia da niente. Possiamo rinviare la nostra partita di tre giorni?
— Vada per mercoledì, ma allora al campo, nella mia tenda, dopo il calar del sole
— rispose Exmoor visibilmente stizzito.
— Ancora una richiesta — insistette Faber. — Non ho molta simpatia per i dadi, un gioco dove – mi pare – conta molto il caso. Vi propongo di misurarci agli scacchi, il gioco dei re e il re dei giochi, nel quale impera soltanto l’intelligenza.
— Ai dadi, agli scacchi, a tutto quello che volete! — sbottò Exmoor. — Si è mai visto un simile cacadubbi? E adesso consentitemi di mandare in rovina definitiva tutto il mio stato maggiore!
E, scuotendolo, brandiva il bossolo dei dadi.
12
Faber si era sforzato di tenere segreta la sua scappata a Boisrenard. Perché creare problemi e dare un cattivo esempio che Lucio sarebbe stato più che felice di seguire?
Ma Porcaro doveva sapere il fatto suo, perché una sera affrontò Faber in questi termini:
— Sapete, mio buon amico, che secondo la tradizione ellenica sarebbe stato un certo Palamede a inventare i vostri amati scacchi per distrarre i greci durante l’assedio di Troia? Un tipo davvero strambo, quel Palamede. Si era fatto nemico mortale Ulisse costringendolo a prender parte alla spedizione dei greci contro Troia.
Per non partire, Ulisse si fingeva pazzo arando la spiaggia e seminandovi sale.
Graziosissimo amalgama, fra parentesi, di pesca e agricoltura. Palamede mise il piccolo Telemaco davanti al solco. Per risparmiare il proprio figlioletto, Ulisse deviò le bestie, prova che era sano di mente. Così partì con Agamennone. Ma il rancore ribolliva in lui. Sotto le mura di Troia, falsificò dei documenti per far incolpare Palamede d’intelligenza con il nemico. Il poveretto fu lapidato come traditore. E
nondimeno aveva inventato gli scacchi. A volte, vedete, mi domando se non esista un qualche rapporto fra questo gioco così intelligente e quell’intelligenza con il nemico che costò la vita a Palamede.
Egli si era comunque docilmente iniziato al gioco degli scacchi e, se ancora perdeva regolarmente contro Faber, i suoi progressi erano così rapidi che ogni speranza gli sembrava legittima.
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