Uomini di stato e legislatori sono talmente parte delle istituzioni da non poterle osservare distintamente nella loro nudità. Parlano di cambiamento, ma senza questa società non avrebbero niente a cui appoggiarsi. Possono essere persone di una certa esperienza e di un qualche giudizio, e hanno senza dubbio inventato sistemi ingegnosi e persino utili, per i quali davvero li ringraziamo sinceramente. Ma il loro buon senso e i loro servizi sono limitati a un campo troppo ristretto; non possono immaginare un mondo non governato dalla politica e dalla convenienza. Webster21 non arriva a concepire nessun pensiero al di là della governabilità, e quindi non può parlare con reale autorevolezza. Le sue parole possono essere sagge per quei legislatori che non prendono in considerazione nessuna riforma radicale dell’attuale governo; ma a chi riflette, e immagina leggi per un tempo universale, sembra non cogliere nemmeno di sfuggita l’essenza dei problemi. Conosco alcuni le cui riflessioni su questi temi, pur assennate e pacate, mostrano chiaramente i limiti di una scarsa apertura mentale. Comunque i discorsi di Webster, se paragonati alla pochezza delle dichiarazioni della maggior parte dei riformatori, al linguaggio e al buon senso ancor piú misero di tutti i politici, sono quasi le sole parole assennate e preziose, e ringraziamo il cielo che lui esista. In confronto agli altri Webster è sempre forte, originale e, soprattutto, concreto. Eppure il cuore del suo discorso non risiede nella saggezza ma nella prudenza. La verità dell’uomo di legge non è la Verità, ma coerenza o meglio una coerente convenienza. La Verità è sempre in armonia con se stessa, e non può essere piegata per dimostrare che la giustizia può coincidere con azioni ingiuste. Webster certo merita di essere chiamato, come è stato fatto, Difensore della Costituzione. Non ha mai avuto uno slancio se non difensivo. Non è una guida ma uno che si accoda. I suoi modelli sono gli uomini del 178722. «Non ho mai tentato, – afferma, – e non mi sono mai proposto di farlo; non ho mai incoraggiato, né ho mai voluto incoraggiare un’iniziativa volta ad alterare gli accordi originari con cui i vari stati sono entrati nell’Unione»23. E pensando alla legittimazione che la Costituzione concede alla schiavitú, aggiunge: «Dal momento che faceva parte dell’insieme degli accordi lasciamola sussistere»24. Nonostante la sua particolare acutezza e le sue indubbie capacità, non è in grado di estrarre un dato reale dalle relazioni meramente politiche, e osservarlo cosí come si presenta, in modo che l’intelletto possa valutarlo da solo. Per esempio: cos’è giusto e necessario che un uomo faccia di fronte alla schiavitú qui in America, oggi? Al contrario Webster – mentre dichiara di parlare in termini assoluti e da uomo indipendente – si avventura, o è spinto, a dare una risposta spietata come quella che segue, da cui quale innovativo e singolare codice di doveri sociali si potrebbe dedurre? «I governi degli Stati in cui esiste la schiavitú, – afferma, – devono regolarla nel modo che ritengono piú opportuno, tenendo fede al mandato contratto con i loro elettori, alle regole generali delle buone maniere, dell’umanità, della giustizia e di Dio. Le associazioni formate altrove, emerse da sentimenti umanitari, o da qualsiasi altra istanza, non hanno nulla a che fare con la questione. Non hanno ricevuto da me nessun incoraggiamento né mai lo riceveranno»25.

Chi non conosce fonti di verità piú pure, chi non ha saputo risalire piú in alto di cosí resta – convinto di essere nel giusto – fermo alla Bibbia e alla Costituzione, e lí si abbevera con venerazione e umanità; ma chi vede la Verità gocciolare in questo lago o in quello stagno, deve farsi forza e continuare il suo pellegrinaggio verso la sorgente.

Non è ancora apparso in America nessun uomo dotato di genio legislativo. È merce rara nella storia del mondo. Ci sono migliaia di oratori, politici e uomini eloquenti; ma non ha ancora aperto bocca qualcuno capace di risolvere per mezzo della parola i problemi scottanti dei nostri giorni. Amiamo l’eloquenza fine a se stessa, e non per la verità di cui può essere portatrice, o per il coraggio che può ispirare. I nostri legislatori non hanno ancora imparato a valutare quale debba essere in una nazione il giusto peso dato al libero scambio rispetto alla libertà, all’unità e all’integrità. E non hanno genio o talento per questioni tutto sommato modeste come le tasse e la finanza, il commercio, l’industria e l’agricoltura. Se ci affidassimo solo alla saggezza verbosa dei membri del Congresso per essere guidati – senza le correzioni di rotta imposte dall’esperienza accumulata negli anni e dalle giuste proteste del popolo – l’America non manterrebbe a lungo il suo status tra le nazioni. Anche se non ho il diritto di dirlo, il Nuovo Testamento è stato scritto milleottocento anni fa, ma dov’è il legislatore che possiede tanta saggezza e concretezza da avvalersi della stessa luce che quelle parole gettano sulla scienza della legislazione?

L’autorità del governo, anche quella a cui sarei disposto a sottomettermi – perché ubbidirei volentieri a chi sa e può fare meglio di me e, in merito a molte faccende, anche a chi non sa né può fare altrettanto bene –, è ancora troppo «spuria»; per essere davvero giusta deve avere l’approvazione e il consenso dei governati. Il governo non può esercitare diritti «puri» sulla mia persona e le mie proprietà se non quelli che gli concedo.