La Figlia di Iorio
GABRIELE D'ANNUNZIO
La figlia di Iorio
tragedia pastorale di tre atti (1904)
ALLA TERRA D'ABRUZZI
ALLA MIA MADRE ALLE MIE SORELLE
AL MIO FRATELLO ESULE AL MIO PADRE SEPOLTO
A TUTTI I MIEI MORTI A TUTTA LA MIA GENTE
FRA LA MONTAGNA E IL MARE
QUESTO CANTO
DELL'ANTICO SANGUE
CONSACRO
Le persone della tragedia
Lazaro di Roio
Candia della Leonessa
Aligi
Splendore - Favetta - Ornella
Maria di Giave - Vienda
Teòdula di Cinzio
La Cinerella - Mònica della Cogna
Anna di Bova - Felàvia Sèsara
La Catalana delle Tre Bisacce
Maria Cora
Mila di Codra
Femo di Nerfa
Ienne dell'Eta
Iona di Midia
La vecchia dell'erbe
Il cavatesori
Il santo dei monti
L'indemoniato
Un pastore - un altro pastore
Un mietitore - un altro mietitore
La turba
Il coro delle parenti
Il coro dei mietitori
Il coro delle lamentatrici
Nella terra d'Abruzzi, or è molt'anni.
ATTO PRIMO
Si vedrà una stanza di terreno in una casa rustica. La porta grande sarà aperta su l'aia assolata; e vi sarà tesa una banda di lana scarlatta per traverso, a impedimento del passo, e alla banda saranno poggiati un bidente e una conocchia; e presso un degli stipiti penderà una croce di cera, contro i malefizii. Un uscio chiuso, con l'architrave adornato di mortella, sarà nella parete a man dritta; e lungh'essa la parete saranno tre arche di legname. A manca, nella grossezza del muro, sarà un camino con la sua cappa molto prominente; e, poco più in là, un usciuolo; e, quivi presso, un telaio. E vi saranno nella stanza varii utensili e suppellettili, ai loro luoghi, come stipi, scancìe, trespoli, aspi, fusi, matasse di canapa e di lana appese a una cordella tirata fra due chiodi, mortai, boccali, scodelle, alberelli e fiasche fatti di zucche votate e secche. E vi sarà una madia vecchissima che porterà scolpita l'imagine di Nostra Donna; e vi sarà l'orcio dell'acqua, e il desco. Al soffitto sarà sospesa con funi una lunga tavola carica di caci. Due finestrette inferriate, alte dal terreno quattro o cinque braccia, faranno lume ai lati della porta grande; e ciascuna avrà la sua spiga di meliga rossa, contro i malefizii.
Scena prima
Splendore, Favetta e Ornella, le tre sorelle, saranno in ginocchio davanti alle tre arche del corredo nuziale, chine a scegliere le vestimenta per la sposa. La loro fresca parlatura sarà quasi gara di canzoni a mattutino.
SPLENDORE: Che vuoi tu, Vienda nostra?
FAVETTA: Che vuoi tu, cognata cara?
SPLENDORE: Vuoi la veste tua di lana?
o vuoi tu quella di seta
a fioretti rossi e gialli?
ORNELLA (cantando): Tutta di verde mi voglio vestire,
tutta di verde per Santo Giovanni,
ché in mezzo al verde mi venne a fedire...
Oilì, oilì, oilà!
SPLENDORE: Ecco il busto dei belli ricami
con la sua pettorina d'argento,
la gonnella di dodici téli,
la collana di cento coralli
che ti diede la madre tua nova.
ORNELLA (cantando): Tutta di verde la camera e i panni.
Oilì, oilì, oilà!
FAVETTA: Che vuoi tu, Vienda nostra?
SPLENDORE: Che vuoi tu, cognata cara?
ORNELLA: I pendenti e la collana
e il nastrino chermisì.
Ora suona la campana,
la campana di mezzodì.
SPLENDORE: Ora viene il parentado
a portarti le canestre,
le canestre di grano trimestre;
e tu, ecco, non sei pronta!
ORNELLA: Tonta e pitonta,
la pecora pel monte
il lupo per la piana
va cercando l'avellana,
l'avellana pistacchina:
questa sposa è mattutina,
mattutina come la talpa
che si leva all'alba all'alba,
come il ghiro e il tasso cane.
Senti senti la campana!
(Ella dirà la cantilena rapidamente; poi romperà in un gran riso e le altre rideranno con lei).
LE TRE SORELLE: Oh Aligi, Aligi, e tu?
SPLENDORE: Di velluto ti vestirai?
FAVETTA: Vuoi dormir settecent'anni
con la bella sonnacchiosa?
SPLENDORE: Il tuo padre è a mietitura,
fratel caro; e la stella diana
s'è mirata nella falce,
nella falce che non riposa.
FAVETTA: E la tua madre ha messo la sapa
nel vino, e l'ànace nell'acqua,
e il garofalo nella carne,
e nel cacio il timo trito.
SPLENDORE: E una pecora abbiamo uccisa,
una pecora grassa d'un anno
che avea capo pezzato di nero,
per la moglie e pel marito.
FAVETTA: E la scapola mancina
per Ustorgio l'abbiamo serbata,
per il vecchio della Fara
che ci fa la profezia.
ORNELLA: E domani è San Giovanni,
fratel caro; è San Giovanni.
Su la Plaia me ne vo' gire,
per vedere il capo mozzo
dentro il sole, all'apparire,
per veder nel piatto d'oro
tutto il sangue ribollire.
FAVETTA: Su, Vienda! Su, capo d'oro!
Guardatura di vinca pervinca!
Or si falcia alla campagna
quella spiga che ti somiglia.
SPLENDORE: La madre ci disse: Andate.
Tre olive avevo con meco.
Or m'ho anche una susina.
Ho tre figlie ed una figlia.
ORNELLA: Su, Vienda, chiara susina!
Che t'indugi? Scrivi al sole
una lettera turchina
perché oggi non si colchi?
(Riderà, e le sue sorelle con lei rideranno).
Scena seconda
Dall'usciuolo entrerà la madre loro, Candia della Leonessa.
CANDIA DELLA LEONESSA: Ah cicale, mie cicale,
una a furia di cantare
è scoppiata in cima al pioppo.
Or non cantano più i galli
a destar chi dorme troppo.
Ora cantan le cicale,
tre cicale di mezzogiorno,
che m'han preso un uscio chiuso
per un albero di fronda!
Ma la nuora non ascolta.
Oh Aligi, Aligi figlio!
(L'uscio si aprirà. E apparirà lo sposo imberbe; che darà il suo saluto con voce grave ed occhi fissi, religiosamente).
ALIGI: Laudato Gesù e Maria!
E voi, madre che mi déste
questa carne battezzata,
benedetta siate, madre.
Benedette voi, sorelle,
fiore del sangue mio.
Per voi, per me, la croce mi faccio
in mezzo al viso dove non passi
il falso nemico né morto né vivo,
né fuoco né fiamma,
né veleno né fattura;
né malo sudore lo bagni né pianto.
Padre, Figliuolo e Spirito Santo!
(Le sorelle si segneranno e passeranno la soglia recando le vestimenta. Aligi si appresserà alla madre, come trasognato).
CANDIA: Carne mia viva, ti tocco la fronte
con questo pane di pura farina
intriso nella madia che ha cent'anni
nata prima di te, prima di me
spianato sopra l'asse che ha cent'anni
da queste mani che t'hanno tenuto.
Io ti tocco la fronte che sia chiara,
ti tocco il petto che sia senz'affanni,
e questa spalla ti tocco e quest'altra
che ti reggan le braccia alla fatica
e la tua donna vi posi la gota.
E che Cristo ti parli e che tu l'oda!
(Con un panello la madre farà il segno della croce sul figlio che sarà caduto in ginocchio dinanzi a lei).
ALIGI: Io mi colcai e Cristo mi sognai.
Cristo mi disse: “Non aver paura”.
San Giovanni mi disse: “Sta sicuro.
Senza candela tu non morirai”.
Disse: “Non morirai di mala morte”.
E voi data m'avete la mia sorte,
madre; la sposa voi l'avete scelta
pel vostro figlio nella vostra casa.
Madre, voi me l'avete accompagnata
perché dorma con me sopra il guanciale,
perché mangi con me nella scodella.
Io pascevo la mandra alla montagna,
alla montagna debbo ritornare.
(La madre gli toccherà la fronte con la palma, come per cacciarne un'ombra funesta).
CANDIA: Àlzati, figlio. Come strano parli!
La tua parola cangia di colore,
come quando l'ulivo è sotto il vento.
(Il figlio s'alzerà, smarrito).
ALIGI: E il mio padre dov'è, che non lo veggo?
CANDIA: A mietitura con la compagnia,
a far mannelle, in grazia del Signore.
ALIGI: Io ho mietuto all'ombra del suo corpo
prima ch'io fossi cresimato in fronte,
quando il mio capo al fianco gli giungeva.
La prima volta mi tagliai la vena
qui dov'è il segno. Con le foglie trite
fu ristagnato il sangue che colava.
“Figlio Aligi” mi disse “figlio Aligi,
lascia la falce e prenditi la mazza;
fatti pastore e va su la montagna”.
E fu guardato il suo comandamento.
CANDIA: Figlio, qual è la pena che t'accora?
Il sogno incubo forse ti fu sopra?
La tua parola è come quando annotta
e sul ciglio del fosso uno si siede
e non segue la via perché conosce
che arrivare non può dov'è il suo cuore,
quando annotta e l'avemaria non s'ode.
ALIGI: Alla montagna debbo ritornare.
Madre, dov'è la mazza del pastore,
che giorno e notte sa le vie dell'erba?
Io l'abbia, quando viene il parentado,
che la veda com'io la lavorai.
(La madre andrà a prendere la mazza poggiata in un canto, presso il focolare).
CANDIA: Eccola, figlio. Guarda. Le sorelle
per San Giovanni te l'hanno fiorita
di garofali rossi e spicanardi.
ALIGI (mostrando l'intaglio): Io nel legno del sànguine le ho meco
sempre, e per mano, le mie tre sorelle,
che m'accompagnan su le vie dell'erba.
Guardate, madre, son tre verginelle,
e tre angeli volano su loro,
e tre stelle comete e tre colombe,
e per ciascuna ho fatto anche un fioretto,
e questo è il sole con la mezzaluna,
questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,
e questo è il campanile di San Biagio,
e questo è il fiume e questa è la mia casa.
Ma chi è questa che sta su la porta?
CANDIA: Aligi, Aligi, perché vuoi ch'io pianga?
ALIGI: E quaggiù, verso il ferro ch'entra in terra,
e quaggiù son le pecore e il pastore,
le pecore il pastore e la montagna.
E alla montagna debbo ritornare,
anche se piangi, anche se piango, madre.
(Egli si appoggerà alla mazza con ambe le mani, e chinerà il capo assorto).
CANDIA: Ma la Speranza dove l'hai tu messa?
ALIGI: La faccia sua non la potei 'mparare
per lavorarla, madre, in verità.
(Si udrà lontano un clamore selvaggio).
Madre, e chi è che grida così forte?
CANDIA: I mietitori fanno l'incanata.
Dalla pazzia del sole Iddio li scampi,
figlio, e dal sangue li guardi il Battista!
ALIGI: E chi mai tese quella fascia rossa
a traverso la porta della casa
e vi pose il bidente e la conocchia?
Perché non entri la cosa malvagia,
ah, ponete l'aratro e il carro e i buoi
contro la soglia, e le pietre e le zolle,
e la calce di tutte le fornaci,
il macigno con l'orma di Sansone,
la Maiella con tutta la sua neve!
CANDIA: Figlio, che nasce nell'anima tua?
Cristo ti disse: “Non aver paura”.
Sei desto? Guarda la croce di cera:
fu benedetta il giorno dell'Ascensa.
Su i càrdini fu sparsa l'acqua santa.
La cosa trista qui non entrerà.
Le tue sorelle han tesa la cintura,
quella cintura che da te fu vinta
prima che tu pastore ti facessi,
vinta alla gara del solco diritto;
te ne ricordi, figlio? Tesa l'hanno
pel parentado che deve passare,
che per passare doni a piacimento.
Perché domandi, se tu sai l'usanza?
ALIGI: Madre, madre, dormii settecent'anni,
settecent'anni; e vengo di lontano.
Non mi ricordo più della mia culla.
CANDIA: Figlio, che hai? Tu parli per farnetico?
Vin negro ti versò la sposa tua
forse, e a digiuno te lo tracannasti,
sicché tratto tu sei di sentimento?
O Vergine Maria, datemi grazia!
LA VOCE DI ORNELLA (dalla camera nuziale): Tutta di verde mi voglio vestire,
tutta di verde per Santo Giovanni,
ché in mezzo al verde mi venne a fedire...
Oilì, oilì, oilà!
Scena terza
La sposa apparirà su la soglia, vestita di verde, sospinta dalle tre cognate.
SPLENDORE: Ecco la sposa. L'abbiamo vestita
con l'allegrezze della primavera.
FAVETTA: L'oro e l'argento nella pettorina,
ma nel resto color d'erba serena.
ORNELLA: Voi prendetela nelle vostre braccia,
o cara madre, e voi la consolate!
SPLENDORE: Su la proda del letto a lacrimare
noi la trovammo, a piangere di pianto
pel pensiere di quella che è deserta.
ORNELLA: Pel vaso di garofali che soffre
sul davanzale ov'ella non s'affaccia.
Voi prendetela nelle vostre braccia!
CANDIA: Nuora, nuora, segnai con questo pane
il sangue mio; ed ecco, ora lo spezzo,
lo spezzo sul tuo capo rilucente.
Fa crescere la casa d'abondanza,
come il lièvito buono che ogni volta
fa traboccar la pasta dalla madia.
Portami pace e non portarmi guerra.
LE TRE SORELLE: Così sia, madre. Baciamo la terra.
(Si chineranno, toccheranno la terra con la destra, e questa recheranno alle labbra. Aligi sarà prostrato come chi prega, in disparte).
CANDIA: O nuora mia, per la tua casa nova
sii come per il fuso il fusaiuolo,
come per la matassa l'arcolaio,
come per il telaio la navicella.
LE TRE SORELLE: Così sia, madre. Baciamo la terra.
CANDIA: Nuora Vienda, per l'anima tua,
ecco, io ti metto in mezzo al pane mondo.
Le mura della casa, i quattro canti
- là il sole in Dio si leva e là si colca,
quello è bacio e quello è solatìo -,
il colmigno e la gronda col suo nido,
gli alari e le catene del camino
chiamo, e il mortaio che pesta il sale bianco
e l'alberello che lo custodisce,
o nuora, chiamo a testimonianza:
come t'ho messa in mezzo al pane mondo
così ti metto in mezzo al core mio,
per questa vita e per la vita eterna.
LE TRE SORELLE: Così sia, madre. Baciamo la terra.
(La nuora chinerà il volto lacrimoso sul petto della suocera che la cingerà con ambe le braccia tenendo tuttavia nell'una mano e nell'altra le due parti del pane. Si udranno le grida dei mietitori. Aligi trasalterà, e andrà verso la porta. Le sorelle accorreranno).
FAVETTA: I mietitori il gran sole gli impazza,
e come cani abbaiano a chi passa.
SPLENDORE: I mietitori fanno l'incanata.
Nel vino rosso mai non metton acqua.
ORNELLA: E per ogni mannella una sorsata,
e il piede della bica è la caraffa.
FAVETTA: Gesù Signore, che vampa d'inferno!
Comare Serpe si morde la coda.
ORNELLA: Ahi mercé, spiga spiga, paglia paglia,
la falce pria v'abbrucia e poi vi taglia.
SPLENDORE: Ahi mercé, padre, per le braccia tue
che son piene di vene alla bisogna.
ORNELLA: O Aligi, Aligi, annuvolato sposo,
il sonno nelle nari t'è rimaso.
FAVETTA: Tu la sai bene la canzon rovescia.
Il tuo pan tu l'hai messo nella fiasca
ed il tuo vino dentro la bisaccia.
SPLENDORE: Ecco le donne! Ecco le donne! Vengono.
Su, su, Vienda. Asciùgati le lacrime.
Madre, che fate? Vengono. Scioglietela.
Su, capo d'oro. Asciùgati le lacrime,
ché troppo hai pianto e i belli occhi ti soffrono.
(Vienda s'asciugherà il volto col grembiale. Poi nel grembiale, preso per le cocche, riceverà dalla suocera il pane spezzato).
CANDIA: In sangue e latte me lo devi rendere!
Ora, su, vieni. Siediti sul trespolo.
Oh Aligi, e tu anche. Vieni. Svégliati.
L'una di qua, l'altro di là.
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