Si udrà a quando a quando il rullo sordo del tamburo funereo).
MARIA CORA: O Femo, e perché l'hai tu detto?
FEMO DI NERFA: Dov'è Candia che non apparisce?
LA CINERELLA: Su la pietra del focolare,
è là: non fa segno né motto.
ANNA DI BOVA: E nessuno si ardisce toccarla.
LA CINERELLA: Ne hanno spavento le figlie.
FELÀVIA SÈSARA: E tu, Femo, hai testimoniato?
LA CATALANA: E Aligi l'avesti vicino?
E, innanzi al giudice, che disse?
MÒNICA DELLA COGNA: Che disse? che fece? Urla mise
e diè nelle smanie il meschino?
FEMO DI NERFA: Sempre ginocchione si stette
e si guardava la mano.
E diceva ogni tratto: “Mea culpa”.
E innanzi a sé baciava la terra.
E aveva un viso umile e pio
così che pareva innocente.
E l'Angelo intagliato nel ceppo
era là con la macchia di sangue.
E molti piangevano intorno.
E taluno diceva: “È innocente”.
ANNA DI BOVA: E la mala femmina Mila
di Codra ritrovata non fu?
LA CATALANA: La figlia di Iorio dov'è?
Non se n'ha novella? Che sai?
FEMO DI NERFA: Cercata per gli stazzi fu molto
ma nessuna traccia lasciò.
I pastori non l'hanno veduta.
Solo Cosma, il santo dei monti,
dice averla veduta e che in qualche
forra è andata a gittar l'ossa sue.
LA CATALANA: La tròvino i corvi ancor viva
e gli occhi le bécchino, i lupi
la tròvino viva e la stràccino!
FELÀVIA SÈSARA: E sempre rinasca allo strazio
la carne sua maledetta!
MARIA CORA: Taci, taci, Felàvia. Silenzio!
Silenzio! Candia s'è alzata,
cammina, ora viene alla soglia,
ora esce. Figliuole, figliuole,
s'è alzata. Reggetela voi.
(Le sorelle si scioglieranno e andranno verso la porta).
IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Candia della Leonessa,
dove vai? Chi t'ha chiamata?
Sigillata è la tua bocca,
il tuo piede è catenato.
Lasci dietro a te la morte
e t'imbatti nel peccato!
Unque vai, unque ti volti,
il cammino è disperato.
Ahi, ahi, cenere misera, ahi vedova,
ahi madre! Iesu Iesu, pietà!
De profundis clamavi ad te, Domine.
(La madre apparirà su la soglia).
Scena seconda
Le figlie faranno l'atto di sostenerla trepidando. Ella le guarderà attonita.
SPLENDORE: Madre cara, ti sei levata. Forse
ti bisogna qualcosa, un sorso almeno
di vin moscato, un po' di cordiale?
FAVETTA: E screpolato t'è il labbro tuo caro
dalla secchezza. Vuoi che ti si bagni?
ORNELLA: Mamma, fa cuore. Siamo qui con te.
Alla prova più trista Iddio ti chiama.
CANDIA DELLA LEONESSA: E d'una tela viense tanta trama
e d'una fonte viense tanto fiume
e d'una quercia viense tante rame
e d'una madre tante creature!
ORNELLA: Mamma, la fronte ti coce. Oggi è un tempo
che fa afa; e t'è grave questo panno.
Tutto in sudore t'è il tuo caro viso.
MARIA CORA: Gesù Gesù, che non esca di senno!
LA CINERELLA: Vergine, che il farnetico le passi!
CANDIA: È tanto tempo che non ho cantato,
non so se la ritrovo l'aria mia.
Ma oggi è venardì e non si canta;
il Signore s'è messo in penitenza.
SPLENDORE: O madre mia, dove sei con la mente?
Guardi e non ci conosci! Qual pensiero
ti trae? Misere noi, che è mai questo?
CANDIA: Questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,
e questo è il campanile di San Biagio,
e questo è il fiume e questa è la mia casa.
Ma chi è questa che sta su la porta?
(Un terrore sùbito assalirà le giovanette. Si discosteranno alquanto a riguardare la madre, e gemeranno sommesse).
ORNELLA: Ah, sorelle, sorelle mie, perduta
l'abbiamo! Anche la madre nostra abbiamo
perduta! Escita è di senno, vedete.
SPLENDORE: Sventura nostra! Maledette siamo
da Dio. Siamo rimaste sole in terra!
FAVETTA: O donne, buone parenti, scavateci
la fossa accanto a quell'altra, e metteteci
tutte e tre giù, così come siam vive.
FELÀVIA SÈSARA: No, non isbigottite, creature;
ché la percossa le ha riversa l'anima,
l'ha risospinta nel tempo di già.
Lasciatela che svaghi; e poi ritorna.
(Candia farà qualche passo).
ORNELLA: Madre, mi senti? Dove vuoi andare?
CANDIA: Il core ho perso d'un dolce figliuolo,
or è trentatre giorni, e non lo trovo!
L'hai tu veduto, l'hai tu riscontrato?
- Io sul Monte Calvario l'ho lasciato,
i' l'ho lasciato sul Monte distante,
l'ho lasciato con lacrime e con sangue.
MARIA CORA: Ah, dice l'ore della Passione.
FELÀVIA SÈSARA: Lasciatela, lasciatela che dica.
LA CINERELLA: Lasciatela, che il cuore le si scarichi.
MÒNICA DELLA COGNA: O Madonna del Santo Venardì,
miserere di lei. Ora pro nobis.
(Le donne del parentado s'inginocchieranno pregando).
CANDIA: Ecco e la Madre si mette in cammino,
viene alla vista del suo dolce figlio.
- O madre, madre, perché sei venuta?
Tra la gente giudea non v'è salute.
- Portato un braccio t'ho di pannolino
per ricuoprirti il tuo corpo ferito.
- Deh portato m'avessi un sorso d'acqua!
- Figlio, non so né strada né fontana;
ma, se la testa un poco puoi chinare,
una goccia di latte io ti vo' dare;
e, se latte non esce, tanto spremo
che tutta la mia vita esce del seno.
- O madre, madre, parla piano piano...
(Ella s'arresterà per qualche attimo nella cadenza; poi griderà d'improvviso, con una voce disperata).
Madre, madre, dormii settecent'anni,
settecent'anni; e vengo di lontano.
Non mi ricordo più della mia culla.
(Colpita dal suo stesso grido, ella si guarderà intorno sgomenta, come risvegliandosi di soprassalto. Le figlie correranno a sostenerla. Le donne si leveranno. Si udrà più presso il rullo del tamburo allentato).
ORNELLA: Ah come trema, come trema tutta!
Ora vien meno. Più non regge l'anima.
Da due giorni è digiuna, e si svanisce.
SPLENDORE: Mamma, chi parla in te? Chi senti tu
dentro parlarti, dentro le tue viscere?
FAVETTA: Dacci udienza, poni mente a noi,
guardaci in viso. Siamo qui con te.
FEMO DI NERFA (dal fondo): Donne, donne, è qui presso con la turba.
Lo stendardo ora passa la cisterna.
Portano anche l'Angelo coperto.
(Le donne si aduneranno sotto la quercia a guatare verso il sentiero).
ORNELLA (a gran voce):Madre, ora viene Aligi, viene Aligi
a pigliar perdonanza dal tuo cuore,
a bevere la tazza del consólo
dalle tue mani. Svégliati e sta forte.
Maledetto non è. Col pentimento
il sacro sangue sparso ei lo riscatta.
CANDIA: È vero, è vero. Con le foglie trite
fu ristagnato il sangue che colava.
“Figlio Aligi” gli disse “figlio Aligi,
lascia la falce e prenditi la mazza;
fatti pastore e va su la montagna”.
E fu guardato il suo comandamento.
SPLENDORE: Hai bene inteso? Il figlio Aligi arriva.
CANDIA: E alla montagna deve ritornare.
Come farò? Le sue camicie nuove
non ho finito di cucirgli, Ornella!
ORNELLA: Madre, andiamo. Fa questo passo. Vòlgiti.
Aspettarlo bisogna innanzi casa.
Donàmogli commiato, a lui che parte.
E poi ci colcheremo tutte in pace,
a fianco a fianco, nel letto di giù.
(Le figlie ricondurranno la madre sotto il portico).
CANDIA (tra sé mormorando): Io mi colcai e Cristo mi sognai.
Cristo mi disse: “Non aver paura”.
San Giovanni mi disse: “Sta sicuro”.
IL CORO DELLE PARENTI: - Oh che turba di gente viene dietro
lo stendardo! Vien tutta la contrada.
- Iona di Midia porta lo stendardo.
- E che silenzio, come a processione!
- Ah che pietà! Sul capo il velo nero.
- Le ritorte di legno alle sue mani,
come pesanti, grosse come un giogo!
- E col càmice bigio e i piedi scalzi.
- Ah chi ci regge? Io metto faccia in terra
e chiudo gli occhi, e non voglio vedere.
- Lonardo della Roscia porta il sacco
di cuoio; Biagio Gudo, il can mastino.
- Mettetegli nel vino un po' di ràdica
di solatro, che perda il sentimento.
- Cocetegli nel vino erba morella,
ch'esca della memoria e non s'accorga.
- Va, Maria Cora, che sai medicina,
aiuta Ornella a fare il beveraggio.
- Grande il misfatto ma grande il patire.
- Ah che pietà! Guarda la gente, come
è muta! Viene tutta la contrada.
- Han lasciato le vigne in abbandono.
- Oggi uva non si coglie. Anco la terra
è a lutto. Chi non piange? Chi non piange?
- Guarda Vienda. Pare in agonia.
- Meglio per lei, che ha perso conoscenza.
- Meglio per lei, se non ode e non vede.
- Ahi, che destino amaro! Or è tre mesi
che venimmo portando le canestre.
- E il male che verrà, chi lo misura?
- Non vi saranno lacrime per piangere.
FEMO DI NERFA: Silenzio, donne! Silenzio! Ecco Iona.
(Le donne si ritrarranno verso il portico. Si farà gran silenzio).
LA VOCE DI IONA: O vedova di Lazaro di Roio
o gente della casa sciagurata,
all'erta, all'erta! Viene il penitente.
Scena terza
Apparirà l'alta statura di Iona con lo stendardo funereo. Dietro di lui verrà il parricida vestito d'un càmice, col capo coperto d'un velo nero, con ambe le mani strette da pesati ritorte di legno. Un uomo gli starà da presso tenendo la mazza pastorale istoriata; un altro avrà la scure; altri porteranno l'Angelo avvolto in un drappo e lo poseranno a terra. La turba si accalcherà nello spazio, tra l'albero e il pagliaio. Le lamentatrici, trascinatesi carponi alla soglia della casa, leveranno il grido verso il morituro.
IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Figlio Aligi, figlio Aligi,
che hai fatto? che hai fatto?
Chi è questo insanguinato?
chi l'ha corco sopra il sasso?
È venuta l'ora tua.
Nero il vino del trapasso!
Mano mozza, morte infame,
mano mozza, corda e sacco!
Ahi, ahi! Figlio di Lazaro, Lazaro
è morto, ahi ahi, ucciso da te!
Libera, Domine, animam servi tui.
IONA DI MIDIA: Trist'a te, Candia della Leonessa.
O Vienda di Giave, trist'a te.
Trist'a voi, figlie del Morto, parenti.
Il Signore abbia pietà di voi, donne.
Nelle mani del popolo rimesso
è Aligi di Lazaro dal Giudice
del Malificio, perché vendicata
sia per le nostre mani questa infamia
caduta sopra a noi, che d'una eguale
i vecchi nostri non hanno memoria
e così la memoria se ne perda,
per la Dio grazia, ne' figli de' figli.
Or t'abbiamo condotto il penitente
perché da te la tazza del consólo
riceva, Candia della Leonessa.
Escito egli è dalle viscere tue.
T'è conceduto alzargli il velo nero,
accostargli alla bocca il beveraggio,
ché molto amara sarà la sua morte.
Salvum fac populum tuum, Domine.
Kyrie eleison.
LA TURBA: Christe eleison.
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