La freccia nera
Robert Louis Stevenson
LA FRECCIA NERA
Traduzioni telematiche a cura di Rosaria Biondi, Nadia Ponti, Giulio Cacciotti, Vincenzo Guagliardo (Casa di Reclusione — Opera)
Titolo originale dell'opera: "The Black Arrow".
Traduzione dall'inglese e introduzione di Emma Masci Kiesler.
Copyright EDIZIONI PAOLINE.
Settima edizione 1985.
Su concessione EDIZIONI PAOLINE.
INDICE.
Introduzione
Prologo: John Aggiusta-tutto.
LIBRO PRIMO — I DUE RAGAZZI.
All'insegna del sole in Kettley.
Nella palude.
Il traghetto della palude.
La compagnia del bosco verde.
Sanguinario come un cacciatore.
Al calar della sera.
La faccia mascherata.
LIBRO SECONDO — MOAT HOUSE.
Dick interroga.
I due giuramenti.
La camera sopra la cappella.
Il corridoio.
Come Dick cambiò partito.
LIBRO TERZO — LORD FOXHAM.
La casa sulla spiaggia.
Una scaramuccia nelle tenebre.
Saint Bride's Cross.
La «Buona Speranza».
La «Buona Speranza».
La «Buona Speranza».
LIBRO QUARTO — IL TRAVESTIMENTO.
La tana.
Nella casa del nemico.
La spia morta.
Nella chiesa dell'abbazia.
Il conte Risingham.
Arblaster ritorna.
LIBRO QUINTO — IL GOBBO.
Lo squillo di tromba.
La battaglia di Shoreby.
La battaglia di Shoreby (conclusione).
Il sacco di Shoreby.
Notte nei boschi: Alicia Risingham.
Notte nei boschi: Dick e Joanna.
La vendetta di Dick.
Conclusione.
INTRODUZIONE.
Robert Louis Stevenson nacque a Edimburgo il 13 novembre 1850 da antica famiglia scozzese, e fu figlio unico. Irrimediabilmente colpito ai polmoni, già nell'infanzia fu angustiato dalla salute delicata, da quel suo futuro d'eterno malato, intervallato soltanto da periodi di relativa floridezza. E allo stesso tempo, fin da bambino, amò abbandonarsi al gioco d'ogni immaginazione, sentì prepotente e sicura la sua vocazione di narratore.
Adolescente, già si trovò in lotta con l'ambiente familiare rigorosamente calvinista e specialmente col padre, il quale fra l'altro avrebbe voluto che egli seguisse la propria carriera d'ingegnere; infatti il giovane Stevenson s'iscriverà alla Scuola d'Ingegneria e più tardi, avendone con fatica ottenuto il permesso, ai corsi di Legge; ma sempre con la ferma intenzione d'intraprendere unicamente la carriera letteraria.
A tredici anni aveva accompagnato i genitori in un lungo giro per la Francia meridionale e l'Italia; ma in seguito la salute malferma, nella ricerca di climi più miti, lo portò spessissimo a viaggiare in Francia e in riviera; egli si mise così in feconda relazione con letterati e artisti, iniziandosi alla sua attività di scrittore, con saggi e note di viaggio, con giovanili tentativi di narrazione che già preludono alla sua grandezza futura, già lasciando intravedere l'amore dell'avventura, l'attenzione alla psicologia umana, la stupefacente volontà, tenace fino all'ultimo, di guarire; l'attaccamento alla vita, alla natura, all'arte. Guardò allora con leggera e giudiziosa ironia alle escandescenze delle sue prime rivolte, che l'avevano spinto a frequentare ambienti poco raccomandabili in equivoche taverne, «marinai, spazzacamini, ladri», ma che l'avevano aiutato a penetrare sempre più da vicino la natura umana, ad amare la virtù vera ovunque si nascondesse sotto le spoglie più miserande, più ribalde, più ambigue e inconsapevoli. Fin da allora si ha l'impressione (e che poi sarà sempre così ce lo confermano le pagine autobiografiche giunte fino a noi) che ogni suo ricordo subisca una trasfigurazione, che tutti, anche i non pochi tristi, si tramutino in attimi di felice esperienza non solo per la magia della sua visione, ma soprattutto per l'esigenza della sua coraggiosa lealtà all'ideale umano che lo anima.
Fu nel 1878, a Barbizon, una colonia internazionale di artisti, culla dell'impressionismo, che incontrò Fanny Van de Grift Osbourne, una signora americana che era venuta a trascorrere qualche tempo in Europa, accompagnata dal figlio Lloyd e dalla figlia Isabel. Fanny, che più tardi doveva diventare sua moglie, dovette ben presto tornare in California. Intanto gli scritti di Stevenson cominciavano ad attrarre l'attenzione del pubblico e nel 1878 e nel 1879 apparvero rispettivamente i suoi due primi libri: "An Inland Voyage" (Un viaggio nel continente) e "Travels with a Donkey in the Cévennes" (Viaggi con un somaro nelle Cévennes).
Nell'estate del 1878 Stevenson s'imbarcò per raggiungere Fanny in California, dopo un viaggio faticosissimo e una disastrosa traversata degli Stati Uniti, fino a Monterey, dove addirittura fu in pericolo di vita, e infine a San Francisco. Due anni dopo sposava Fanny e con lei tornava in Europa.
Durante i sette anni che seguirono, la salute peggiorata trascinò Stevenson e la sua famiglia in giro per la Scozia, la riviera francese e ovunque il clima potesse giovargli, in un continuo susseguirsi di spostamenti febbrili. Ben dice Chesterton che «la carta dei suoi viaggi è in realtà una carta di luoghi di cura». Eppure, proprio durante quegli anni, Stevenson pubblicò tutta una serie dei suoi libri più famosi, tra i quali "Treasure Island" (L'isola del tesoro)1 nel 1883, "Prince Otto" (Il principe Otto)2 nel 1885, "The Strange Case of Dottor Jekyll and Mister Hyde" (Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde)3 nel 1886, "Kidnapped" (Il fanciullo rapito)4 nel medesimo anno, "The Black Arrow" (La freccia nera) nel 1888; e racconti di viaggio, storie brevi5, poesie. Sempre durante quel periodo Stevenson conobbe a Bournemouth il romanziere americano Henry James, col quale strinse una profonda amicizia e mantenne dal 1885 fino alla morte una vivace corrispondenza, circa cinquanta lettere assai interessanti perché particolarmente impegnate in questioni riguardanti l'arte narrativa.
Nel 1887 morì suo padre, spezzando così il più forte legame che l'univa all'Europa e alla sua Scozia, che non cessò mai d'amare nostalgicamente. In quell'anno stesso lasciò per sempre l'Europa e partì per l'America, accompagnato dalla moglie, dal figliastro e dalla madre. Vi rimase circa un anno, continuando a scrivere articoli e un romanzo, "The Wrong Box" (La cassa sbagliata)6 in collaborazione con Lloyd Osbourne, e mettendo mano al romanzo "The "Master" of Ballantrae" (Il signore di Ballantrae)7 giudicato forse il più approfondito dei suoi lavori.
Nell'estate del 1888, dopo una crociera nel Pacifico che toccò le isole Marchesi, Tahiti e Honolulu (dove rimase sei mesi e visitò il lebbrosario di Molokai) e poi le isole Gilbert, arrivò nel 1889 nell'arcipelago delle Samoa, da dove non doveva più ripartire. Nei mari del Sud ritrovò vivi i personaggi della sua immaginazione, che negli ultimi racconti, pieni di un fascino nuovo di fantasia e di colore, balzano quasi integralmente riportati dal suo diario. Cominciò anche il suo ultimo romanzo, "Weir of Hermiston" (Weir di Hermiston)8, rimasto purtroppo incompiuto e che prometteva di riuscire un autentico capolavoro.
Nel novembre del 1889 si stabilì definitivamente a Vailima, dove si costruì una casa dopo aver comperato 300 acri di bosco; vi condusse vita patriarcale con la sua famiglia e tutto un seguito di fedeli, e prendendo parte attiva alla vita e agli affari politici dell'isola; per gli indigeni non fu soltanto «Tusitala», il narratore di storie, ma un potente capo bianco, un saggio protettore, un amico affettuoso.
La sua salute certo migliorò assai in quel clima e con quella vita; egli stesso dice che gli sembrava un sogno la forza riconquistata, e poter vivere di nuovo in mezzo agli uomini, e andare in barca, a caccia, nuotare e vibrare l'ascia nella foresta, e fu felice. Ma pochi anni dopo, alla fine di novembre 1894, fu colto da un nuovo attacco del suo male, che lo spense ai primi di dicembre. Fu sepolto con tutti gli onori e i cerimoniali dovuti a un «capo», in cima al Monte Vaea, che domina Vailima e il grande Pacifico: pianto non solo dalla sua famiglia, ma da tutti gli indigeni che avevano imparato ad amarlo.
Stevenson è stato molto tradotto, in Italia e all'estero, specialmente negli anni seguenti alla prima guerra mondiale. Su di lui è stato scritto e si continua a scrivere molto; e fra le tante biografie basterà citare quelle di Graham Balfour (1901), R. O. Masson (1923), Lloyd Osbourne (1924), G.K. Chesterton (1927), Janet Adam Smith (1937), e quelle dal titolo significativo: "Presbyterian Pirate" (Pirata presbiteriano) di Doris N. Dalglish (1937) e "Portrait of a Rebel" (Ritratto di un ribelle) di Richard Aldington (1957).
Negli anni della giovinezza di Stevenson, dai suoi venti ai trent'anni, si produsse in Inghilterra un mutamento nei gusti del pubblico; gli editori cominciarono a rendersi conto che si preferivano ormai narrazioni più brevi e quindi edizioni più economiche. E pare che fosse proprio Stevenson uno dei primi autori a sanzionare il mutamento, quando nel 1883 fece uscire in volume "Treasure Island", il racconto che senza grande successo era stato pubblicato a puntate su un periodico per ragazzi; e il breve romanzo in volume fu immediatamente popolare presso il nuovo pubblico, giovanile e adulto.
Stevenson cominciava a riportare il romanzo al gusto della narrazione spigliata e romantica, al mistero, all'avventura senza arbitrarie fantasticherie (se vogliamo escludere il diabolismo del "Dottor Jekyll" e del "'Master' of Ballantrae"), ma umanamente intesa e umanamente vissuta.
In tutto quello che scrisse, saggi, lettere, romanzi, racconti, poesie, rimane sempre autentico artista, attentissimo allo stile fino a un ideale di perfezione che a taluni parve esagerato; eppure quello stile suona sempre spontaneamente adeguato e scorrevole, nella sua misura di coltivato sapore classico, nella sua governata raffinatezza, nell'essenzialità del colore che di per se stesso racconta.
Per virtù di una eccezionale versatilità lo Stevenson riuscì benissimo nei generi più diversi, sempre con un fecondissimo senso del romanzo che tuttavia quasi non aveva bisogno di attingere alla fantasia e all'invenzione per vivificarsi, perché egli stesso diceva che la sua vita era «più bella di qualsiasi poema», e comunque gli bastava guardare il mondo e ritrovarsi nelle creature e nelle cose, in pieno abbandono all'ingenuità del suo gusto e della sua «cristiana giovialità ch'è la grande logica dei suoi racconti», come dice Emilio Cecchi9, perché gli fiorissero dalla penna le trame più fantasiose; e perché le fantasie, i sogni e le immagini, decantati fino a una purezza cristallina, diventassero attualità fervente d'una meravigliosa cronaca vissuta, davanti agli occhi di noi tornati bambini. Sempre per citare il Cecchi, Stevenson «non sarà Tolstoj, e forse non sarà nemmeno James o Hardy; ma ha virtù che nemmeno essi possedettero, quanto a essenzialità e rapidità di racconto, incisività delle immagini, musicalità e liricità. Tutte doti che per la maggior parte difettano nella narrativa odierna; ma che in realtà non sono mai mancate alle supreme opere d'arte»10.
Stevenson cominciò a scrivere "The Black Arrow" nel maggio del 1883, mentre dimorava a Hyères, e dopo un inverno spossante che l'aveva trascinato da un'emorragia all'altra. Ma lo spirito e la forza creativa non perdevano, come sempre, la loro vitalità e la loro freschezza. Gli era stato richiesto un altro romanzo d'avventure dalla medesima rivista per ragazzi che aveva già pubblicato "Treasure Island". Stevenson accettò volentieri, tanto che scrisse i primi sei capitoli in una settimana; e alla fine dell'estate aveva spedito l'ultima puntata e aspettava le ultime bozze. Per quanto l'avesse scritto di lena e con impegno, senza false modestie, non prendeva troppo sul serio il valore letterario del lavoro portato a compimento; e pur avendolo composto espressamente per la gioventù, non poteva ancora conoscere e apprezzare l'entusiasmo di tutti i ragazzi che lo lessero, lo leggono e lo leggeranno domani; ma un episodio lo divertì moltissimo.
Insieme alla bozze gli giunse una lettera firmata «Il Lettore»; con grande cortesia, insistendo che non si trattava affatto di critica ma di un semplice umile avvertimento, gli si faceva notare una omissione, certo non intenzionale, «probabilmente una svista». Le particolari frecce nere annunziate nelle prime pagine del libro come destinate ad essere usate con intento personalmente micidiale erano quattro; alla fine del libro, tre erano giunte a destinazione, ma la quarta, quella attesa dal parroco Sir Oliver, con un terrore spasmodico «tanto vividamente rappresentato», non aveva fatto la sua apparizione.
Subito, e con grande delizia, Stevenson rispose che ringraziava di cuore e che al più presto avrebbe incluso altre cartelle per rimediare l'omissione e spacciare anche il prete.
1 comment