Nell'interno, già qualche pianta spuntava verde fra i crepacci.
— Credo proprio — mormorò Dick, — che si tratti di Grimstone. Era un fortilizio di un certo Simon Malmesbury; Sir Daniel è stato la sua rovina! Fu Bennet Hatch a incendiarlo, cinque anni fa. E davvero è stato un peccato, perché era una gran bella dimora.
Giù al fondo di quel valloncello, dove non soffiava il vento, l'aria era tiepida e tutto era tranquillo; e Matcham, posando una mano sul braccio di Dick, alzò un dito ammonitore.
— Ascolta! — disse.
Allora s'udì uno strano suono rompere il silenzio. Fu ripetuto due volte prima che ne riconoscessero la natura. Era il rumore che faceva un uomo di potente struttura schiarendosi la gola; e subito dopo una voce rauca e stonata ruppe in un canto:
"Allora parlò il capo, il re dei fuorilegge: Che fate qui, allegri compagni, nel folto del bosco verde?
E Gamelyn rispose, e non guardava mai a terra: Oh, deve ben vagare tra i boschi chi non può entrare in città!"
Il cantore tacque, seguì un leggero tintinnio metallico, poi silenzio.
I due ragazzi rimasero a guardarsi. Chiunque potesse essere, il loro invisibile vicino era proprio dietro quelle macerie. E d'un tratto il colore torno in viso a Matcham, e l'attimo dopo aveva attraversato il ponte formato dalla trave caduta, e si arrampicava cauto sul grosso mucchio di legname che riempiva l'interno della casa scoperchiata.
Dick avrebbe voluto trattenerlo, ma non ne ebbe il tempo, e non gli rimase che seguirlo.
Proprio in un angolo delle rovine, due travi erano cadute in croce e proteggevano uno spazio vuoto non più largo d'un banco di chiesa. I ragazzi vi si cacciarono senza fare il minimo rumore. Là vi stavano perfettamente nascosti, e attraverso una feritoia potevano osservare quello che c'era dall'altra parte.
Non appena messovi l'occhio, rimasero impietriti dal terrore. La ritirata era impossibile; non osavano neppure respirare. Proprio sull'orlo del fossato, a meno di trenta passi da dove si erano accucciati, un calderone di ferro ribolliva e fumava sulla fiamma d'un gran fuoco; e accanto, in atto d'ascoltare come se avesse colto qualche rumore del loro arrampicarsi sulle macerie, un uomo alto, rosso in viso, e con l'aspetto di chi è stato sbattuto da troppe tempeste, si teneva ritto con un cucchiaio di ferro in mano, armato di corno e d'una formidabile daga alla cintura. Non poteva essere che il cantore di prima; ed era anche chiaro che stava rimescolando nel paiolo quando un passo incauto fra il legname gli aveva colpito orecchio. Poco distante un altro uomo sonnecchiava disteso, avvolto in un mantello bruno, con una farfalla che gli volteggiava intorno al viso. Tutto ciò era in una radura bianca di margherite; e in fondo un arco, una faretra piena di frecce, e parte della carcassa d'un daino pendevano dai rami d'un biancospino fiorito.
L'uomo smise di ascoltare, come rassicurato, si portò il cucchiaio alla bocca, ne assaggiò il contenuto, approvò con un cenno del capo, e riprese a mescolare e a cantare:
"Oh, deve ben vagare tra i boschi chi non può entrare in città!" gracchiò, riprendendo la canzone dove l'aveva interrotta.
"Oh, sir, non erriamo qui per fare alcun male Ma se incontriamo un daino del buon re, gli tiriamo una freccia."
Sempre cantando, tirava su di tanto in tanto un'altra cucchiaiata di brodo, vi soffiava sopra e l'assaggiava, con tutta l'aria di un cuoco esperto. Finalmente parve giudicare pronto il pasto, perché prese il corno dalla cintura e vi soffiò tre volte un richiamo modulato.
L'altro uomo si destò, si rotolò sull'erba, cacciò con un gesto la farfalla, e si guardò intorno.
— Che succede, fratello? — disse. — Il pranzo?
— Sicuro, ubriacone — rispose il cuoco, — è pronto il pranzo, e un pranzo a secco, per giunta, senza birra né pane. C'è poco piacere a stare nel bosco, oggi; c'era un tempo che un brav'uomo poteva viverci come un abate mitrato, a parte la pioggia e il gelo; poteva saziarsi a volontà di birra e di vino. Ma adesso è morto lo spirito d'una volta, e questo John Aggiusta-tutto, che Dio ci salvi e ci guardi, non è che un pupazzo impagliato, buono a spaventare i corvi.
— Ma no — fece l'altro, — tu pensi troppo a mangiare bene e a bere, Senzalegge. Abbi un po' di pazienza; i tempi buoni stanno per arrivare.
— Eh già! — ribatté il cuoco, — questi tempi buoni li sto aspettando da quando ero alto così. Sono stato frate francescano; sono stato un arciere del re; sono stato marinaio e ho navigato per i mari salati; e non è la prima volta che ho fatto vita di bosco, per la verità, e ho tirato al daino del re. Che ne è venuto? Niente! Era meglio se fossi rimasto nel chiostro. John Abate vale più che John Aggiusta-tutto. Per la Vergine! eccoli che vengono.
Uno dopo l'altro, uomini altrettanto grandi e grossi cominciarono a comparire sul prato. Arrivando, ciascuno tirava fuori un coltello e una tazza di corno, si serviva dal calderone e si sedeva sull'erba a mangiare. Erano in varia guisa acconciati e armati; alcuni in vecchi giacconi e con null'altro che un vecchio coltello e un arco; altri nell'eleganza più raffinata della foresta, tutti in panno verde di Lincoln, cappuccio e giustacuore, con frecce adorne di squisite penne di pavone alla cintura, un corno sospeso alla bandoliera, e spada e daga ai fianchi. Arrivavano taciturni per la fame, e appena brontolavano un saluto, buttandosi giù immediatamente a mangiare.
Se n'erano radunati già forse una ventina, quando si levò un evviva soffocato fra i biancospini e subito dopo sbucarono sul prato cinque o sei taglialegna portando una barella. Un tipo allegro d'alta statura, alquanto brizzolato, e abbronzato come un prosciutto affumicato, camminava davanti a loro con una cert'aria d'autorità, l'arco sulle spalle e uno schidione lucente in mano.
— Ragazzi! — gridò, — miei bravi compagni e amici miei allegri, finora avete cantato a gola asciutta e vissuto a disagio. Ma che dicevo sempre? Non stancatevi mai di aspettare la fortuna; fa presto, fa presto a girare. Ecco qui! ecco la sua primizia: questa magnifica cosa, birra!
Ci fu un mormorio di plauso, mentre i portatori depositavano la barella e scaricavano una grossa botte.
— E ora in fretta, ragazzi — continuò l'uomo. — C'è lavoro da fare.
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