— Vengo, signor, — gli disse — e ’ntanto l’ira prego sospenda e ’l tuo popolo affrene: vengo a scoprirti, e vengo a darti preso quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso. —
20
A l’onesta baldanza, a l’improviso folgorar di bellezze altere e sante, quasi confuso il re, quasi conquiso, frenò lo sdegno, e placò il fer sembiante.
S’egli era d’alma o se costei di viso severa manco, ei diveniane amante; ma ritrosa beltà ritroso core
non prende, e sono i vezzi esca d’Amore.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 32
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto secondo Q
21
Fu stupor, fu vaghezza, e fu diletto, s’amor non fu, che mosse il cor villano.
— Narra — ei le dice — il tutto; ecco, io commetto che non s’offenda il popol tuo cristiano. —
Ed ella: — Il reo si trova al tuo cospetto: opra è il furto, signor, di questa mano; io l’imagine tolsi, io son colei che tu ricerchi, e me punir tu déi. —
22
Così al publico fato il capo altero offerse, e ’l volse in sé sola raccòrre.
Magnanima menzogna, or quand’è il vero sì bello che si possa a te preporre?
Riman sospeso, e non sì tosto il fero tiranno a l’ira, come suol, trascorre.
Poi la richiede: — I’ vuo’ che tu mi scopra chi diè consiglio, e chi fu insieme a l’opra. —
23
— Non volsi far de la mia gloria altrui né pur minima parte; — ella gli dice
— sol di me stessa io consapevol fui, sol consigliera, e sola essecutrice. —
— Dunque in te sola — ripigliò colui
— caderà l’ira mia vendicatrice. —
Diss’ella: — È giusto: esser a me conviene, se fui sola a l’onor, sola a le pene. —
24
Qui comincia il tiranno a risdegnarsi; poi le dimanda: — Ov’hai l’imago ascosa?
— Non la nascosi, — a lui risponde — io l’arsi, e l’arderla stimai laudabil cosa; così almen non potrà più violarsi per man di miscredenti ingiuriosa.
Signore, o chiedi il furto, o ’l ladro chiedi: quel no ’l vedrai in eterno, e questo il vedi.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 33
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto secondo Q
25
Benché né furto è il mio, né ladra i’ sono: giust’è ritòr ciò ch’a gran torto è tolto. —
Or, quest’udendo, in minaccievol suono freme il tiranno, e ’l fren de l’ira è sciolto.
Non speri più di ritrovar perdono cor pudico, alta mente e nobil volto; e ’ndarno Amor contr’a lo sdegno crudo di sua vaga bellezza a lei fa scudo.
26
Presa è la bella donna, e ’ncrudelito il re la danna entr’un incendio a morte.
Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito, stringon le molli braccia aspre ritorte.
Ella si tace, e in lei non sbigottito, ma pur commosso alquanto è il petto forte; e smarrisce il bel volto in un colore che non è pallidezza, ma candore.
27
Divulgossi il gran caso, e quivi tratto già ’l popol s’era: Olindo anco v’accorse.
Dubbia era la persona e certo il fatto; venia, che fosse la sua donna in forse.
Come la bella prigionera in atto non pur di rea, ma di dannata ei scorse, come i ministri al duro ufficio intenti vide, precipitoso urtò le genti.
28
Al re gridò: — Non è, non è già rea costei del furto, e per follia se ’n vanta.
Non pensò, non ardì, né far potea donna sola e inesperta opra cotanta.
Come ingannò i custodi? e de la Dea con qual arti involò l’imagin santa?
Se ’l fece, il narri.
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