D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto secondo Q
9
O fu di man fedele opra furtiva, o pur il Ciel qui sua potenza adopra, che di Colei ch’è sua regina e diva sdegna che loco vil l’imagin copra: ch’incerta fama è ancor se ciò s’ascriva ad arte umana od a mirabil opra; ben è pietà che, la pietade e ’l zelo uman cedendo, autor se ’n creda il Cielo.
10
Il re ne fa con importuna inchiesta ricercar ogni chiesa, ogni magione, ed a chi gli nasconde o manifesta il furto o il reo gran pene e premi impone.
Il mago di spiarne anco non resta con tutte l’arti il ver; ma non s’appone, ché ’l Cielo, opra sua fosse o fosse altrui, celolla ad onta de gl’incanti a lui.
11
Ma poi che ’l re crudel vide occultarse quel che peccato de’ fedeli ei pensa, tutto in lor d’odio infellonissi, ed arse d’ira e di rabbia immoderata immensa.
Ogni rispetto oblia, vuol vendicarse, segua che pote, e sfogar l’alma accensa.
— Morrà, — dicea — non andrà l’ira a vòto, ne la strage comune il ladro ignoto.
12
Pur che ’l reo non si salvi, il giusto pèra e l’innocente; ma qual giusto io dico?
è colpevol ciascun, né in loro schiera uom fu giamai del nostro nome amico.
S’anima v’è nel novo error sincera, basti a novella pena un fallo antico.
Su su, fedeli miei, su via prendete le fiamme e ’l ferro, ardete ed uccidete. —
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 30
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Canto secondo Q
13
Così parla a le turbe, e se n’intese la fama tra’ fedeli immantinente, ch’attoniti restàr, sì gli sorprese il timor de la morte omai presente; e non è chi la fuga o le difese, lo scusar o ’l pregare ardisca o tente.
Ma le timide genti e irrisolute donde meno speraro ebber salute.
14
Vergine era fra lor di già matura verginità, d’alti pensieri e regi, d’alta beltà; ma sua beltà non cura, o tanto sol quant’onestà se ’n fregi.
È il suo pregio maggior che tra le mura d’angusta casa asconde i suoi gran pregi, e de’ vagheggiatori ella s’invola a le lodi, a gli sguardi, inculta e sola.
15
Pur guardia esser non può ch’in tutto celi beltà degna ch’appaia e che s’ammiri; né tu il consenti, Amor, ma la riveli d’un giovenetto a i cupidi desiri.
Amor, ch’or cieco, or Argo, ora ne veli di benda gli occhi, ora ce gli apri e giri, tu per mille custodie entro a i più casti verginei alberghi il guardo altrui portasti.
16
Colei Sofronia, Olindo egli s’appella, d’una cittate entrambi e d’una fede.
Ei che modesto è sì com’essa è bella, brama assai, poco spera, e nulla chiede; né sa scoprirsi, o non ardisce; ed ella o lo sprezza, o no ’l vede, o non s’avede.
Così fin ora il misero ha servito o non visto, o mal noto, o mal gradito.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 31
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Canto secondo Q
17
S’ode l’annunzio intanto, e che s’appresta miserabile strage al popol loro.
A lei, che generosa è quanto onesta viene in pensier come salvar costoro.
Move fortezza il gran pensier, l’arresta poi la vergogna e ’l verginal decoro; vince fortezza, anzi s’accorda e face sé vergognosa e la vergogna audace.
18
La vergine tra ’l vulgo uscì soletta, non coprì sue bellezze, e non l’espose, raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta, con ischive maniere e generose.
Non sai ben dir s’adorna o se negletta, se caso od arte il bel volto compose.
Di natura, d’Amor, de’ cieli amici le negligenze sue sono artifici.
19
Mirata da ciascun passa, e non mira l’altera donna, e innanzi al re se ’n viene.
Né, perché irato il veggia, il piè ritira, ma il fero aspetto intrepida sostiene.
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