Io l’ho, signor, furata.
(Ahi! tanto amò la non amante amata).
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 34
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto secondo Q
29
Soggiunse poscia: — Io là, donde riceve l’alta vostra meschita e l’aura e ’l die, di notte ascesi, e trapassai per breve fóro tentando inaccessibil vie.
A me l’onor, la morte a me si deve: non usurpi costei le pene mie.
Mie son quelle catene, e per me questa fiamma s’accende, e ’l rogo a me s’appresta. —
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Alza Sofronia il viso, e umanamente con occhi di pietade in lui rimira.
— A che ne vieni, o misero innocente?
qual consiglio o furor ti guida o tira?
Non son io dunque senza te possente a sostener ciò che d’un uom può l’ira?
Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede di bastar solo, e compagnia non chiede. —
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Così parla a l’amante; e no ’l dispone sì ch’egli si disdica, e pensier mute.
Oh spettacolo grande, ove a tenzone sono Amore e magnanima virtute!
ove la morte al vincitor si pone in premio, e ’l mal del vinto è la salute!
Ma più s’irrita il re quant’ella ed esso è più costante in incolpar se stesso.
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Pargli che vilipeso egli ne resti, e ch’in disprezzo suo sprezzin le pene.
— Credasi — dice — ad ambo; e quella e questi vinca, e la palma sia qual si conviene. —
Indi accenna a i sergenti, i quai son presti a legar il garzon di lor catene.
Sono ambo stretti al palo stesso; e vòlto è il tergo al tergo, e’l volto ascoso al volto.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 35
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Canto secondo Q
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Composto è lor d’intorno il rogo omai, e già le fiamme il mantice v’incita, quand’il fanciullo in dolorosi lai proruppe, e disse a lei ch’è seco unita:
— Quest’è dunque quel laccio ond’io sperai teco accoppiarmi in compagnia di vita?
questo è quel foco ch’io credea ch’i cori ne dovesse infiammar d’eguali ardori?
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Altre fiamme, altri nodi Amor promise, altri ce n’apparecchia iniqua sorte.
Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divise, ma duramente or ne congiunge in morte.
Piacemi almen, poich’in sì strane guise morir pur déi, del rogo esser consorte, se del letto non fui; duolmi il tuo fato, il mio non già, poich’io ti moro a lato.
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Ed oh mia sorte aventurosa a pieno!
oh fortunati miei dolci martìri!
s’impetrarò che, giunto seno a seno, l’anima mia ne la tua bocca io spiri; e venendo tu meco a un tempo meno, in me fuor mandi gli ultimi sospiri. —
Così dice piangendo. Ella il ripiglia soavemente, e ’n tai detti il consiglia: 36
— Amico, altri pensieri, altri lamenti, per più alta cagione il tempo chiede.
Ché non pensi a tue colpe? e non rammenti qual Dio prometta a i buoni ampia mercede?
Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti, e lieto aspira a la superna sede.
Mira ’l ciel com’è bello, e mira il sole ch’a sé par che n’inviti e ne console. —
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 36
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Canto secondo Q
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Qui il vulgo de’ pagani il pianto estolle: piange il fedel, ma in voci assai più basse.
Un non so che d’inusitato e molle par che nel duro petto al re trapasse.
Ei presentillo, e si sdegnò; né volle piegarsi, e gli occhi torse, e si ritrasse.
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