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Poi gli dice infingevole, e nasconde sotto il manto de l’odio altro desio:
— Oimè! bene il conosco, ed ho ben donde fra mille riconoscerlo deggia io, ché spesso il vidi i campi e le profonde fosse del sangue empir del popol mio.
Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga ch’ei faccia, erba non giova od arte maga.
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Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero mio fosse un giorno! e no ’l vorrei già morto; vivo il vorrei, perch’in me desse al fero desio dolce vendetta alcun conforto. —
Così parlava, e de’ suoi detti il vero da chi l’udiva in altro senso è torto; e fuor n’uscì con le sue voci estreme misto un sospir che ’ndarno ella già preme.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 57
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto terzo Q
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Clorinda intanto ad incontrar l’assalto va di Tancredi, e pon la lancia in resta.
Ferìrsi a le visiere, e i tronchi in alto volaro e parte nuda ella ne resta; ché, rotti i lacci a l’elmo suo, d’un salto (mirabil colpo!) ei le balzò di testa; e le chiome dorate al vento sparse, giovane donna in mezzo ’l campo apparse.
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Lampeggiàr gli occhi, e folgoràr gli sguardi, dolci ne l’ira; or che sarian nel riso?
Tancredi, a che pur pensi? a che pur guardi?
non riconosci tu l’altero viso?
Quest’è pur quel bel volto onde tutt’ardi; tuo core il dica, ov’è il suo essempio inciso.
Questa è colei che rinfrescar la fronte vedesti già nel solitario fonte.
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Ei ch’al cimiero ed al dipinto scudo non badò prima, or lei veggendo impètra; ella quanto può meglio il capo ignudo si ricopre, e l’assale; ed ei s’arretra.
Va contra gli altri, e rota il ferro crudo; ma però da lei pace non impetra, che minacciosa il segue, e: — Volgi — grida; e di due morti in un punto lo sfida.
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Percosso, il cavalier non ripercote, né sì dal ferro a riguardarsi attende, come a guardar i begli occhi e le gote ond’Amor l’arco inevitabil tende.
Fra sé dicea: Van le percosse vote talor, che la sua destra armata stende; ma colpo mai del bello ignudo volto non cade in fallo, e sempre il cor m’è colto.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 58
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Canto terzo Q
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Risolve al fin, benché pietà non spere, di non morir tacendo occulto amante.
Vuol ch’ella sappia ch’un prigion suo fère già inerme, e supplichevole e tremante; onde le dice: — O tu, che mostri avere per nemico me sol fra turbe tante, usciam di questa mischia, ed in disparte i’ potrò teco, e tu meco provarte.
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Così me’ si vedrà s’al tuo s’agguaglia il mio valore. — Ella accettò l’invito: e come esser senz’elmo a lei non caglia, gìa baldanzosa, ed ei seguia smarrito.
Recata s’era in atto di battaglia già la guerriera, e già l’avea ferito, quand’egli: — Or ferma, — disse — e siano fatti anzi la pugna de la pugna i patti. —
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Fermossi, e lui di pauroso audace rendé in quel punto il disperato amore.
— I patti sian, — dicea — poi che tu pace meco non vuoi, che tu mi tragga il core.
Il mio cor, non più mio, s’a te dispiace ch’egli più viva, volontario more: è tuo gran tempo, e tempo è ben che trarlo omai tu debbia, e non debb’io vietarlo.
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Ecco io chino le braccia, e t’appresento senza difesa il petto: or ché no ’l fiedi?
vuoi ch’agevoli l’opra? i’ son contento trarmi l’usbergo or or, se nudo il chiedi. —
Distinguea forse in più duro lamento i suoi dolori il misero Tancredi, ma calca l’impedisce intempestiva de’ pagani e de’ suoi che soprarriva.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 59
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Canto terzo Q
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Cedean cacciati da lo stuol cristiano i Palestini, o sia temenza od arte.
Un de’ persecutori, uomo inumano, videle sventolar le chiome sparte, e da tergo in passando alzò la mano per ferir lei ne la sua ignuda parte; ma Tancredi gridò, che se n’accorse, e con la spada a quel gran colpo occorse.
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