Grande biblioteca della letteratura italiana 71
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto quarto Q
Canto quarto
1
Mentre son questi a le bell’opre intenti, perché debbiano tosto in uso porse, il gran nemico de l’umane genti contra i cristiani i lividi occhi torse; e scorgendogli omai lieti e contenti, ambo le labra per furor si morse, e qual tauro ferito il suo dolore versò mugghiando e sospirando fuore.
2
Quinci, avendo pur tutto il pensier vòlto a recar ne’ cristiani ultima doglia, che sia, comanda, il popol suo raccolto (concilio orrendo!) entro la regia soglia; come sia pur leggiera impresa, ahi stolto!, il repugnare a la divina voglia: stolto, ch’al Ciel s’agguaglia, e in oblio pone come di Dio la destra irata tuone.
3
Chiama gli abitator de l’ombre eterne il rauco suon de la tartarea tromba.
Treman le spaziose atre caverne, e l’aer cieco a quel romor rimbomba; né sì stridendo mai da le superne regioni del cielo il folgor piomba, né sì scossa giamai trema la terra quando i vapori in sen gravida serra.
4
Tosto gli dèi d’Abisso in varie torme concorron d’ogn’intorno a l’alte porte.
Oh come strane, oh come orribil forme!
quant’è ne gli occhi lor terrore e morte!
Stampano alcuni il suol di ferine orme, e ’n fronte umana han chiome d’angui attorte, e lor s’aggira dietro immensa coda che quasi sferza si ripiega e snoda.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 72
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Canto quarto Q
5
Qui mille immonde Arpie vedresti e mille Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni, molte e molte latrar voraci Scille, e fischiar Idre e sibilar Pitoni, e vomitar Chimere atre faville, e Polifemi orrendi e Gerioni;
e in novi mostri, e non più intesi o visti, diversi aspetti in un confusi e misti.
6
D’essi parte a sinistra e parte a destra a seder vanno al crudo re davante.
Siede Pluton nel mezzo, e con la destra sostien lo scettro ruvido e pesante; né tanto scoglio in mar, né rupe alpestra, né pur Calpe s’inalza o ’l magno Atlante, ch’anzi lui non paresse un picciol colle, sì la gran fronte e le gran corna estolle.
7
Orrida maestà nel fero aspetto terrore accresce, e più superbo il rende: rosseggian gli occhi, e di veneno infetto come infausta cometa il guardo splende, gl’involve il mento e su l’irsuto petto ispida e folta la gran barba scende, e in guisa di voragine profonda s’apre la bocca d’arto sangue immonda.
8
Qual i fumi sulfurei ed infiammati escon di Mongibello e ’l puzzo e ’l tuono, tal de la fera bocca i negri fiati, tale il fetore e le faville sono.
Mentre ei parlava, Cerbero i latrati ripresse, e l’Idra si fe’ muta al suono; restò Cocito, e ne tremàr gli abissi, e in questi detti il gran rimbombo udissi: Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 73
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Canto quarto Q
9
— Tartarei numi, di seder più degni là sovra il sole, ond’è l’origin vostra, che meco già da i più felici regni spinse il gran caso in questa orribil chiostra, gli antichi altrui sospetti e i feri sdegni noti son troppo, e l’alta impresa nostra; or Colui regge a suo voler le stelle, e noi siam giudicate alme rubelle.
10
Ed in vece del dì sereno e puro, de l’aureo sol, de gli stellati giri, n’ha qui rinchiusi in questo abisso oscuro, né vuol ch’al primo onor per noi s’aspiri; e poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro!
quest’è quel che più inaspra i miei martìri) ne’ bei seggi celesti ha l’uom chiamato, l’uom vile e di vil fango in terra nato.
11
Né ciò gli parve assai; ma in preda a morte, sol per farne più danno, il figlio diede.
Ei venne e ruppe le tartaree porte, e porre osò ne’ regni nostri il piede, e trarne l’alme a noi dovute in sorte, e riportarne al Ciel sì ricche prede, vincitor trionfando, e in nostro scherno l’insegne ivi spiegar del vinto Inferno.
12
Ma che rinovo i miei dolor parlando?
Chi non ha già l’ingiurie nostre intese?
Ed in qual parte si trovò, né quando, ch’egli cessasse da l’usate imprese?
Non più déssi a l’antiche andar pensando, pensar dobbiamo a le presenti offese.
Deh! non vedete omai com’egli tenti tutte al suo culto richiamar le genti?
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 74
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Canto quarto Q
13
Noi trarrem neghittosi i giorni e l’ore, né degna cura fia che ’l cor n’accenda?
e soffrirem che forza ognor maggiore il suo popol fedele in Asia prenda?
e che Giudea soggioghi? e che ’l suo onore, che ’l nome suo più si dilati e stenda?
che suoni in altre lingue, e in altri carmi si scriva, e incida in novi bronzi e marmi?
14
Che sian gl’idoli nostri a terra sparsi?
ch’i nostri altari il mondo a lui converta?
ch’a lui sospesi i voti, a lui sol arsi siano gl’incensi, ed auro e mirra offerta?
ch’ove a noi tempio non solea serrarsi, or via non resti a l’arti nostre aperta?
che di tant’alme il solito tributo ne manchi, e in vòto regno alberghi Pluto?
15
Ah non fia ver, ché non sono anco estinti gli spirti in voi di quel valor primiero, quando di ferro e d’alte fiamme cinti pugnammo già contra il celeste impero.
Fummo, io no ’l nego, in quel conflitto vinti, pur non mancò virtute al gran pensiero.
Diede che che si fosse a lui vittoria: rimase a noi d’invitto ardir la gloria.
16
Ma perché più v’indugio? Itene, o miei fidi consorti, o mia potenza e forze: ite veloci, ed opprimete i rei prima che ’l lor poter più si rinforze; pria che tutt’arda il regno de gli Ebrei, questa fiamma crescente omai s’ammorze; fra loro entrate, e in ultimo lor danno or la forza s’adopri ed or l’inganno.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 75
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Canto quarto Q
17
Sia destin ciò ch’io voglio: altri disperso se ’n vada errando, altri rimanga ucciso, altri in cure d’amor lascive immerso idol si faccia un dolce sguardo e un riso.
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