D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto quarto Q
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Rendé lor poscia, in dolci e care note, grazie per l’alte grazie a lei concesse, mostrando che sariano al mondo note mai sempre, e sempre nel suo core impresse; e ciò che lingua esprimer ben non pote, muta eloquenza ne’ suoi gesti espresse, e celò sì sotto mentito aspetto il suo pensier ch’altrui non diè sospetto.
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Quinci vedendo che fortuna arriso al gran principio di sue frodi avea, prima che ’l suo pensier le sia preciso, dispon di trarre al fin opra sì rea, e far con gli atti dolci e co ’l bel viso più che con l’arti lor Circe o Medea, e in voce di sirena a i suoi concenti addormentar le più svegliate menti.
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Usa ogn’arte la donna, onde sia colto ne la sua rete alcun novello amante; né con tutti, né sempre un stesso volto serba, ma cangia a tempo atti e sembiante.
Or tien pudica il guardo in sé raccolto, or lo rivolge cupido e vagante: la sferza in quegli, il freno adopra in questi, come lor vede in amar lenti o presti.
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Se scorge alcun che dal suo amor ritiri l’alma, e i pensier per diffidenza affrene, gli apre un benigno riso, e in dolci giri volge le luci in lui liete e serene; e così i pigri e timidi desiri sprona, ed affida la dubbiosa spene, ed infiammando l’amorose voglie sgombra quel gel che la paura accoglie.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 93
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Canto quarto Q
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Ad altri poi, ch’audace il segno varca scòrto da cieco e temerario duce, de’ cari detti e de’ begli occhi è parca, e in lui timore e riverenza induce.
Ma fra lo sdegno, onde la fronte è carca, pur anco un raggio di pietà riluce, sì ch’altri teme ben, ma non dispera, e più s’invoglia quanto appar più altera.
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Stassi tal volta ella in disparte alquanto e ’l volto e gli atti suoi compone e finge quasi dogliosa, e in fin su gli occhi il pianto tragge sovente e poi dentro il respinge; e con quest’arti a lagrimar intanto seco mill’alme semplicette astringe, e in foco di pietà strali d’amore tempra, onde pèra a sì fort’arme il core.
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Poi, sì come ella a quei pensier s’invole e novella speranza in lei si deste, vèr gli amanti il piè drizza e le parole, e di gioia la fronte adorna e veste; e lampeggiar fa, quasi un doppio sole, il chiaro sguardo e ’l bel riso celeste su le nebbie del duolo oscure e folte, ch’avea lor prima intorno al petto accolte.
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Ma mentre dolce parla e dolce ride, e di doppia dolcezza inebria i sensi, quasi dal petto lor l’alma divide, non prima usata a quei diletti immensi.
Ahi crudo Amor, ch’egualmente n’ancide l’assenzio e ’l mèl che tu fra noi dispensi, e d’ogni tempo egualmente mortali vengon da te le medicine e i mali!
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 94
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto quarto Q
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Fra sì contrarie tempre, in ghiaccio e in foco, in riso e in pianto, e fra paura e spene, inforsa ogni suo stato, e di lor gioco l’ingannatrice donna a prender viene; e s’alcun mai con suon tremante e fioco osa parlando d’accennar sue pene, finge, quasi in amor rozza e inesperta, non veder l’alma ne’ suoi detti aperta.
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O pur le luci vergognose e chine tenendo, d’onestà s’orna e colora, sì che viene a celar le fresche brine sotto le rose onde il bel viso infiora, qual ne l’ore più fresche e matutine del primo nascer suo veggiam l’aurora; e ’l rossor de lo sdegno insieme n’esce con la vergogna, e si confonde e mesce.
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Ma se prima ne gli atti ella s’accorge d’uom che tenti scoprir l’accese voglie, or gli s’invola e fugge, ed or gli porge modo onde parli e in un tempo il ritoglie; così il dì tutto in vano error lo scorge stanco, e deluso poi di speme il toglie.
Ei si riman qual cacciator ch’a sera perda al fin l’orma di seguita fèra.
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Queste fur l’arti onde mill’alme e mille prender furtivamente ella poteo, anzi pur furon l’arme onde rapille ed a forza d’Amor serve le feo.
Qual meraviglia or fia s’il fero Achille d’Amor fu preda, ed Ercole e Teseo, s’ancor chi per Giesù la spada cinge l’empio ne’ lacci suoi talora stringe?
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 95
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto quinto Q
Canto quinto
1
Mentre in tal guisa i cavalieri alletta ne l’amor suo l’insidiosa Armida, né solo i diece a lei promessi aspetta ma di furto menarne altri confida, volge tra sé Goffredo a cui commetta la dubbia impresa ov’ella esser dée guida, ché de gli aventurier la copia e ’l merto e ’l desir di ciascuno il fanno incerto.
2
Ma con provido aviso al fin dispone ch’essi un di loro scelgano a sua voglia, che succeda al magnanimo Dudone e quella elezion sovra sé toglia.
Così non averrà ch’ei dia cagione ad alcun d’essi che di lui si doglia, e insieme mostrerà d’aver nel pregio, in cui deve a ragion, lo stuolo egregio.
3
A sé dunque li chiama, e lor favella:
— Stata è da voi la mia sentenza udita, ch’era non di negare a la donzella, ma di darle in stagion matura aita.
Di novo or la propongo, e ben pote ella esser dal parer vostro anco seguita, ché nel mondo mutabile e leggiero costanza è spesso il variar pensiero.
4
Ma se stimate ancor che mal convegna al vostro grado il rifiutar periglio, e se pur generoso ardire sdegna quel che troppo gli par cauto consiglio, non sia ch’involontari io vi ritegna, né quel che già vi diedi or mi ripiglio; ma sia con esso voi, com’esser deve, il fren del nostro imperio lento e leve.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 96
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto quinto Q
5
Dunque lo starne o ’l girne i’ son contento che dal vostro piacer libero penda: ben vuo’ che pria facciate al duce spento successor novo, e di voi cura ei prenda, e tra voi scelga i diece a suo talento; non già di diece il numero trascenda, ch’in questo il sommo imperio a me riservo: non fia l’arbitrio suo per altro servo.
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