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6
Così disse Goffredo; e ’l suo germano, consentendo ciascun, risposta diede:
— Sì come a te conviensi, o capitano, questa lenta virtù che lunge vede, così il vigor del core e de la mano, quasi debito a noi, da noi si chiede.
E saria la matura tarditate,
ch’in altri è providenza, in noi viltate.
7
E poi che ’l rischio è di sì leve danno posto in lance co ’l pro che ’l contrapesa, te permettente, i diece eletti andranno con la donzella a l’onorata impresa. —
Così conclude, e con sì adorno inganno cerca di ricoprir la mente accesa sotto altro zelo; e gli altri anco d’onore fingon desio quel ch’è desio d’amore.
8
Ma il più giovin Buglione, il qual rimira con geloso occhio il figlio di Sofia, la cui virtute invidiando ammira che ’n sì bel corpo più cara venia, no ’l vorrebbe compagno, e al cor gli inspira cauti pensier l’astuta gelosia, onde, tratto il rivale a sé in disparte, ragiona a lui con lusinghevol arte: Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 97
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Canto quinto Q
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— O di gran genitor maggior figliuolo, che ’l sommo pregio in arme hai giovenetto, or chi sarà del valoroso stuolo, di cui parte noi siamo, in duce eletto?
Io, ch’a Dudon famoso a pena, e solo per l’onor de l’età, vivea soggetto; io, fratel di Goffredo, a chi più deggio cedere omai? se tu non sei, no ’l veggio.
10
Te, la cui nobiltà tutt’altre agguaglia, gloria e merito d’opre a me prepone, né sdegnerebbe in pregio di battaglia minor chiamarsi anco il maggior Buglione.
Te dunque in duce bramo, ove non caglia a te di questa sira esser campione, né già cred’io che quell’onor tu curi che da’ fatti verrà notturni e scuri; 11
né mancherà qui loco ove s’impieghi con più lucida fama il tuo valore.
Or io procurerò, se tu no ’l neghi, ch’a te concedan gli altri il sommo onore; ma perché non so ben dove si pieghi l’irresoluto mio dubbioso core, impetro or io da te, ch’a voglia mia o segua poscia Armida o teco stia. —
12
Qui tacque Eustazio, e questi estremi accenti non proferì senza arrossarsi in viso, e i mai celati suoi pensier ardenti l’altro ben vide, e mosse ad un sorriso; ma perch’a lui colpi d’amor più lenti non hanno il petto oltra la scorza inciso, né molto impaziente è di rivale, né la donzella di seguir gli cale Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 98
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Canto quinto Q
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ben altamente ha nel pensier tenace l’acerba morte di Dudon scolpita, e si reca a disnor ch’Argante audace gli soprastia lunga stagion in vita; e parte di sentir anco gli piace quel parlar ch’al dovuto onor l’invita, e ’l giovenetto cor s’appaga e gode del dolce suon de la verace lode.
14
Onde così rispose: — I gradi primi più meritar che conseguir desio, né, pur che me la mia virtù sublimi, di scettri altezza invidiar degg’io; ma s’a l’onor mi chiami, e che lo stimi debito a me, non ci verrò restio, e caro esser mi dée che sia dimostro sì bel segno da voi del valor nostro.
15
Dunque io no ’l chiedo e no ’l rifiuto; e quando duce io pur sia, sarai tu de gli eletti. —
Allora il lascia Eustazio, e va piegando de’ suoi compagni al suo voler gli affetti; ma chiede a prova il principe Gernando quel grado, e bench’Armida in lui saetti, men può nel cor superbo amor di donna ch’avidità d’onor che se n’indonna.
16
Sceso Gernando è da’ gran re norvegi, che di molte provincie ebber l’impero; e le tante corone e’ scettri regi e del padre e de gli avi il fanno altero.
Altero è l’altro de’ suoi propri pregi più che de l’opre che i passati fèro, ancor che gli avi suoi cento e più lustri stati sian chiari in pace e ’n guerra illustri.
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Canto quinto Q
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Ma il barbaro signor, che sol misura quanto l’oro o ’l domino oltre si stenda, e per sé stima ogni virtute oscura cui titolo regal chiara non renda, non può soffrir che ’n ciò ch’egli procura seco di merto il cavalier contenda, e se ne cruccia sì ch’oltra ogni segno di ragione il trasporta ira e disdegno.
18
Tal che ’l maligno spirito d’Averno, ch’in lui strada sì larga aprir si vede, tacito in sen gli serpe ed al governo de’ suoi pensieri lusingando siede.
E qui più sempre l’ira e l’odio interno inacerbisce, e ’l cor stimola e fiede; e fa che ’n mezzo a l’alma ognor risuona una voce ch’a lui così ragiona: 19
Teco giostra Rinaldo: or tanto vale quel suo numero van d’antichi eroi?
Narri costui, ch’a te vuol farsi eguale, le genti serve e i tributari suoi; mostri gli scettri, e in dignità regale paragoni i suoi morti a i vivi tuoi.
Ah quanto osa un signor d’indegno stato, signor che ne la serva Italia è nato!
20
Vinca egli o perda omai, ché vincitore fu insino allor ch’emulo tuo divenne, che dirà il mondo? (e ciò fia sommo onore):
“Questi già con Gernando in gara venne. ’
Poteva a te recar gloria e splendore il nobil grado che Dudon pria tenne; ma già non meno esso da te n’attese: costui scemò suo pregio allor che ’l chiese.
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Canto quinto Q
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E se, poi ch’altri più non parla o spira, de’ nostri affari alcuna cosa sente, come credi che ’n Ciel di nobil ira il buon vecchio Dudon si mostri ardente, mentre in questo superbo i lumi gira ed al suo temerario ardir pon mente, che seco ancor, l’età sprezzando e ’l merto, fanciullo osa agguagliarsi ed inesperto?
22
E l’osa pure e ’l tenta, e ne riporta in vece di castigo onor e laude, e v’è chi ne ’l consiglia e ne l’essorta (o vergogna comune!) e chi gli applaude.
Ma se Goffredo il vede, e gli comporta che di ciò ch’a te déssi egli ti fraude, no ’l soffrir tu; né già soffrirlo déi, ma ciò che puoi dimostra e ciò che sei.
23
Al suon di queste voci arde lo sdegno e cresce in lui quasi commossa face; né capendo nel cor gonfiato e pregno, per gli occhi n’esce e per la lingua audace.
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