Mal, Tancredi, consigli e male stimi se vuoi ch’i grandi in sua licenza io lassi.

Qual fòra imperio il mio s’a vili ed imi, sol duce de la plebe, io commandassi?

Scettro impotente e vergognoso impero: se con tal legge è dato, io più no ’l chero.

38

Ma libero fu dato e venerando, né vuo’ ch’alcun d’autorità lo scemi.

E so ben io come si deggia e quando ora diverse impor le pene e i premi, ora, tenor d’egualità serbando, non separar da gli infimi i supremi. —

Così dicea; né rispondea colui, vinto da riverenza, a i detti sui.

39

Raimondo, imitator de la severa rigida antichità, lodava i detti.

— Con quest’arti — dicea — chi bene impera si rende venerabile a i soggetti, ché già non è la disciplina intera ov’uom perdono e non castigo aspetti.

Cade ogni regno, e ruinosa è senza la base del timor ogni clemenza. —

40

Tal ei parlava, e le parole accolse Tancredi, e più fra lor non si ritenne, ma vèr Rinaldo immantinente volse un suo destrier che parve aver le penne.

Rinaldo, poi ch’al fer nemico tolse l’orgoglio e l’alma, al padiglion se ’n venne.

Qui Tancredi trovollo, e de le cose dette e risposte a pien la somma espose.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 105

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata Canto quinto Q

41

Soggiunse poi: — Bench’io sembianza esterna del cor non stimi testimon verace, ché ’n parte troppo cupa e troppo interna il pensier de’ mortali occulto giace, pur ardisco affermar, a quel ch’io scerna nel capitan ch’in tutto anco no ’l tace, ch’egli ti voglia a l’obligo soggetto de’ rei comune e in suo poter ristretto. —

42

Sorrise allor Rinaldo, e con un volto in cui tra ’l riso lampeggiò lo sdegno:

— Difenda sua ragion ne’ ceppi involto chi servo è — disse — o d’esser servo è degno.

Libero i’ nacqui e vissi, e morrò sciolto pria che man porga o piede a laccio indegno: usa a la spada è questa destra ed usa a le palme, e vil nodo ella ricusa.

43

Ma s’a i meriti miei questa mercede Goffredo rende e vuol impregionarme pur com’io fosse un uom del vulgo, e crede a carcere plebeo legato trarme, venga egli o mandi, io terrò fermo il piede.

Giudici fian tra noi la sorte e l’arme: fera tragedia vuol che s’appresenti per lor diporto a le nemiche genti. —

44

Ciò detto, l’armi chiede; e ’l capo e ’l busto di finissimo acciaio adorno rende e fa del grande scudo il braccio onusto, e la fatale spada al fianco appende, e in sembiante magnanimo ed augusto, come folgore suol, ne l’arme splende.

Marte, e’ rassembra te qualor dal quinto cielo di ferro scendi e d’orror cinto.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 106

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata Canto quinto Q

45

Tancredi intanto i feri spirti e ’l core insuperbito d’ammollir procura.

— Giovene invitto, — dice — al tuo valore so che fia piana ogn’erta impresa e dura, so che fra l’arme sempre e fra ’l terrore la tua eccelsa virtute è più secura; ma non consenta Dio ch’ella si mostri oggi sì crudelmente a’ danni nostri.

46

Dimmi, che pensi far? vorrai le mani del civil sangue tuo dunque bruttarte?

e con le piaghe indegne de’ cristiani trafigger Cristo, ond’ei son membra e parte?

Di transitorio onor rispetti vani, che qual onda del mar se ’n viene e parte, potranno in te più che la fede e ’l zelo di quella gloria che n’eterna in Cielo?

47

Ah non, per Dio!, vinci te stesso e spoglia questa feroce tua mente superba.

Cedi! non fia timor, ma santa voglia, ch’a questo ceder tuo palma si serba.

E se pur degna ond’altri essempio toglia è la mia giovenetta etate acerba, anch’io fui provocato, e pur non venni co’ fedeli in contesa e mi contenni; 48

ch’avend’io preso di Cilicia il regno, e l’insegne spiegatevi di Cristo, Baldovin sopragiunse, e con indegno modo occupollo e ne fe’ vile acquisto; ché, mostrandosi amico ad ogni segno, del suo avaro pensier non m’era avisto.

Ma con l’arme però di ricovrarlo non tentai poscia, e forse i’ potea farlo.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 107

ACTA G.