D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso La Gerusalemme liberata
Canto quinto Q
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E se pur anco la prigion ricusi e i lacci schivi, quasi ignobil pondo, e seguir vuoi l’opinioni e gli usi che per leggi d’onore approva il mondo, lascia qui me ch’al capitan ti scusi, e ’n Antiochia tu vanne a Boemondo, ché né soppórti in questo impeto primo a’ suoi giudizi assai securo stimo.
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Ben tosto fia, se pur qui contra avremo l’arme d’Egitto o d’altro stuol pagano, ch’assai più chiaro il tuo valore estremo n’apparirà mentre sarai lontano; e senza te parranne il campo scemo, quasi corpo cui tronco è braccio o mano. —
Qui Guelfo sopragiunge e i detti approva, e vuol che senza indugio indi si mova.
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A i lor consigli la sdegnosa mente de l’audace garzon si volge e piega, tal ch’egli di partirsi immantinente fuor di quell’oste a i fidi suoi non nega.
Molta intanto è concorsa amica gente, e seco andarne ognun procura e prega; egli tutti ringrazia e seco prende sol duo scudieri, e su ’l cavallo ascende.
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Parte, e porta un desio d’eterna ed alma gloria ch’a nobil core è sferza e sprone; a magnanime imprese intent’ha l’alma, ed insolite cose oprar dispone: gir fra i nemici, ivi o cipresso o palma acquistar per la fede ond’è campione, scorrer l’Egitto, e penetrar sin dove fuor d’incognito fonte il Nilo move.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 108
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Canto quinto Q
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Ma Guelfo, poi che ’l giovene feroce affrettato al partir preso ha congedo, quivi non bada, e se ne va veloce ove egli stima ritrovar Goffredo, il qual, come lui vede, alza la voce:
— Guelfo, — dicendo — a punto or te richiedo, e mandato ho pur ora in varie parti alcun de’ nostri araldi a ricercarti. —
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Poi fa ritrarre ogn’altro, e in basse note ricomincia con lui grave sermone:
— Veracemente, o Guelfo, il tuo nepote troppo trascorre, ov’ira il cor gli sprone, e male addursi a mia credenza or pote di questo fatto suo giusta cagione.
Ben caro avrò ch’ella ci rechi tale, ma Goffredo con tutti è duce eguale; 55
e sarà del legitimo e del dritto custode in ogni caso e difensore, serbando sempre al giudicare invitto da le tiranne passioni il core.
Or se Rinaldo a violar l’editto e de la disciplina il sacro onore costretto fu, come alcun dice, a i nostri giudizi venga ad inchinarsi, e ’l mostri.
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A sua retenzion libero vegna:
questo, ch’io posso, a i merti suoi consento.
Ma s’egli sta ritroso e se ne sdegna (conosco quel suo indomito ardimento), tu di condurlo a proveder t’ingegna ch’ei non isforzi uom mansueto e lento ad esser de le leggi e de l’impero vendicator, quanto è ragion, severo. —
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 109
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Canto quinto Q
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Così disse egli; e Guelfo a lui rispose:
— Anima non potea d’infamia schiva voci sentir di scorno ingiuriose, e non farne repulsa ove l’udiva.
E se l’oltraggiatore a morte ei pose, chi è che mèta a giust’ira prescriva?
chi conta i colpi o la dovuta offesa, mentre arde la tenzon, misura e pesa?
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Ma quel che chiedi tu, ch’al tuo soprano arbitrio il garzon venga a sottoporse, duolmi ch’esser non può, ch’egli lontano da l’oste immantinente il passo torse.
Ben m’offro io di provar con questa mano a lui ch’a torto in falsa accusa il morse, o s’altri v’è di sì maligno dente, ch’ei punì l’onta ingiusta giustamente.
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A ragion, dico, al tumido Gernando fiaccò le corna del superbo orgoglio.
Sol, s’egli errò, fu ne l’oblio del bando; ciò ben mi pesa, ed a lodar no ’l toglio. —
Tacque, e disse Goffredo: — Or vada errando, e porti risse altrove; io qui non voglio che sparga seme tu di nove liti: deh, per Dio, sian gli sdegni anco forniti. —
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Di procurare il suo soccorso intanto non cessò mai l’ingannatrice rea.
Pregava il giorno, e ponea in uso quanto l’arte e l’ingegno e la beltà potea; ma poi, quando stendendo il fosco manto la notte in occidente il dì chiudea, tra duo suoi cavalieri e due matrone ricovrava in disparte al padiglione.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 110
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Canto quinto Q
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Ma benché sia mastra d’inganni, e i suoi modi gentili e le maniere accorte, e bella sì che ’l ciel prima né poi altrui non diè maggior bellezza in sorte, tal che del campo i più famosi eroi ha presi d’un piacer tenace e forte; non è però ch’a l’esca de’ diletti il pio Goffredo lusingando alletti.
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In van cerca invaghirlo, e con mortali dolcezze attrarlo a l’amorosa vita, ché qual saturo augel, che non si cali ove il cibo mostrando altri l’invita, tal ei sazio del mondo i piacer frali sprezza, e se ’n poggia al Ciel per via romita, e quante insidie al suo bel volo tende l’infido amor, tutte fallaci rende.
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Né impedimento alcun torcer da l’orme pote, che Dio ne segna, i pensier santi.
Tentò ella mill’arti, e in mille forme quasi Proteo novel gli apparse inanti, e desto Amor, dove più freddo ei dorme, avrian gli atti dolcissimi e i sembianti, ma qui (grazie divine) ogni sua prova vana riesce, e ritentar non giova.
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