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Ella d’elmo coprissi, e se non era ch’altri quivi arrivàr, ben l’assaliva.
Partì dal vinto suo la donna altera, ch’è per necessità sol fuggitiva; ma l’imagine sua bella e guerriera tale ei serbò nel cor, qual essa è viva; e sempre ha nel pensiero e l’atto e ’l loco in che la vide, esca continua al foco.
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Canto primo
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E ben nel volto suo la gente accorta legger potria: Questi arde, e fuor di spene; così vien sospiroso, e così porta basse le ciglia e di mestizia piene.
Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta, lasciàr le piaggie di Campagna amene, pompa maggior de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.
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Venian dietro ducento in Grecia nati, che son quasi di ferro in tutto scarchi: pendon spade ritorte a l’un de’ lati, suonano al tergo lor faretre ed archi; asciutti hanno i cavalli, al corso usati, a la fatica invitti, al cibo parchi: ne l’assalir son pronti e nel ritrarsi, e combatton fuggendo erranti e sparsi.
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Tatin regge la schiera, e sol fu questi che, greco, accompagnò l’arme latine.
Oh vergogna! oh misfatto! or non avesti tu, Grecia, quelle guerre a te vicine?
E pur quasi a spettacolo sedesti, lenta aspettando de’ grand’atti il fine.
Or, se tu se’ vil serva, è il tuo servaggio (non ti lagnar) giustizia, e non oltraggio.
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Squadra d’ordine estrema ecco vien poi ma d’onor prima e di valor e d’arte.
Son qui gli aventurieri, invitti eroi, terror de l’Asia e folgori di Marte.
Taccia Argo i Mini, e taccia Artù que’ suoi erranti, che di sogni empion le carte; ch’ogni antica memoria appo costoro perde: or qual duce fia degno di loro?
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Canto primo
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Dudon di Consa è il duce; e perché duro fu il giudicar di sangue e di virtute, gli altri sopporsi a lui concordi furo, ch’avea più cose fatte e più vedute.
Ei di virilità grave e maturo, mostra in fresco vigor chiome canute; mostra, quasi d’onor vestigi degni, di non brutte ferite impressi segni.
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Eustazio è poi fra i primi; e i propri pregi illustre il fanno, e più il fratel Buglione.
Gernando v’è, nato di re norvegi, che scettri vanta e titoli e corone.
Ruggier di Balnavilla infra gli egregi la vecchia fama ed Engerlan ripone; e celebrati son fra’ più gagliardi un Gentonio, un Rambaldo e duo Gherardi.
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Son fra’ lodati Ubaldo anco, e Rosmondo del gran ducato di Lincastro erede; non fia ch’Obizzo il Tosco aggravi al fondo chi fa de le memorie avare prede, né i tre frati lombardi al chiaro mondo involi, Achille, Sforza e Palamede, o ’l forte Otton, che conquistò lo scudo in cui da l’angue esce il fanciullo ignudo.
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Né Guasco né Ridolfo a dietro lasso, né l’un né l’altro Guido, ambo famosi, non Eberardo e non Gernier trapasso sotto silenzio ingratamente ascosi.
Ove voi me, di numerar già lasso, Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi, rapite? o ne la guerra anco consorti, non sarete disgiunti ancor che morti!
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Canto primo
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Ne le scole d’Amor che non s’apprende?
Ivi si fe’ costei guerriera ardita: va sempre affissa al caro fianco e pende da un fato solo l’una e l’altra vita.
Colpo che ad un sol noccia unqua non scende, ma indiviso è il dolor d’ogni ferita; e spesso è l’un ferito, e l’altro langue, e versa l’alma quel, se questa il sangue.
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Ma il fanciullo Rinaldo, e sovra questi e sovra quanti in mostra eran condutti, dolcemente feroce alzar vedresti la regal fronte, e in lui mirar sol tutti.
L’età precorse e la speranza, e presti pareano i fior quando n’usciro i frutti; se ’l miri fulminar ne l’arme avolto, Marte lo stimi; Amor, se scopre il volto.
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Lui ne la riva d’Adige produsse a Bertoldo Sofia, Sofia la bella a Bertoldo il possente; e pria che fusse tolto quasi il bambin da la mammella, Matilda il volse, e nutricollo, e instrusse ne l’arti regie; e sempre ei fu con ella, sin ch’invaghì la giovanetta mente la tromba che s’udia da l’oriente.
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Allor (né pur tre lustri avea forniti) fuggì soletto, e corse strade ignote; varcò l’Egeo, passò di Grecia i liti, giunse nel campo in region remote.
Nobilissima fuga, e che l’imiti ben degna alcun magnanimo nepote.
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