La voce echeggiò sonoramente per l’andito; un gattino grigio dai grandi occhi verdi e diafani come due acini d’uva, sporse le orecchie frementi dall’uscio a mano sinistra, ma appena vide Serafina fuggì e si nascose vigliaccamente sotto il telaio.
“Son tutti morti!”, pensò la ragazza avanzando. Tutti gli usci erano aperti, ed ella, dopo aver curiosamente messo la testa entro la stanza del telaio, infilò la porta di faccia e si trovò nella cucina. Una caffettiera bolliva sui carboni 10
accesi di un fornello; da un’altra porta spalancata si scorgeva l’orto verde, fresco e luminoso.
Serafina fece un giro intorno a se stessa, esaminando ogni cosa, poi credette bene di chiamare nuovamente: «Donna Maria? Donna Maria?».
Il bel gattino grigio, tornato cautamente sull’uscio dell’andito, scappò di nuovo, e donna Maurizia comparve sulla porta dell’orto. Era una donna sulla cinquantina, alta, pallidissima, con due formidabili occhi turchini sormontati dal minaccioso arco delle foltissime sopracciglia nere, e con il labbro superiore peloso come quello di un adolescente.
«Cosa vuoi?», domandò con arroganza.
«Dov’è donna Maria?», disse la domestica con non meno insolenza. E intanto si scambiarono uno sguardo di sfida e di curiosità.
«È ancora a letto», rispose donna Maurizia, togliendo la caffettiera dal fuoco,
«se vuoi vederla torna più tardi.»
«Non posso tornare. Le dica lei che don Stene stanotte è ricaduto malato, che ora è a letto e sta male, e mi ha mandato perché desidera assolutamente che donna Maria venga in casa nostra.»
“In casa tua! un corno! tu non hai né casa né vicinato!”, le rispose mentalmente donna Maurizia.
«Perché deve venire?», chiese a voce alta ed irosa.
«Ne so molto io!», disse l’altra, guardando sfacciatamente nell’orto. «E zia Larenta? È al mulino?»
«Maria è a letto», ripeté con sussiego donna Maurizia, senza badare alle ultime domande. «Quando si leverà glielo dirò.»
«Non se ne dimentichi. Il padrone vuol vederla e presto.»
«Presto o tardi!», esclamò l’altra con sprezzo; e siccome Serafina, sporgendosi sulla porta, guardava sempre verso il molino, fu per scacciarla col manico della scopa, tant’ira e disprezzo ne provava.
«E zia Larenta?», ripeté la ragazza.
Nessuna risposta.
«È al molino? Ah, sì, eccola là!» E salutò con la mano. «Se mi permette scendo laggiù.»
Siccome il permesso tardava, la ragazza prese improvvisamente il piccolo viale che conduceva al molino, e andò laggiù con la scusa di salutar zia Larenta; ma in realtà per veder la gente che recava il grano da macinare.
Donna Maurizia le imprecò dietro a voce sommessa; poi guardò intorno, caso mai mancasse qualche oggetto, pur sapendo di malignare, e si domandò quale altro accidente fosse capitato a Stefano. “Chi sa che voglia morire e chiami Maria per combinare sul testamento da far eseguire a quel vecchio pazzo di don Piane!”
Rasserenata da questa pietosa speranza cominciò a preparar lo spirito d’uovo (4) per Maria, mentre il caffè stillava a goccia a goccia entro la macchinetta di latta rosseggiante per il riflesso del fuoco.
Preso un uovo dall’armadio e guardatolo attraverso la luce, lo batté sull’orlo di una scodella, e versato in questa il tuorlo, lasciò l’albo entro la metà del guscio, che adagiò contro una chicchera. Strinse poi la scodella fra le ginocchia, versò molto zucchero sul tuorlo dorato e cominciò a sbatter il tutto con un fuso, girandone il cannello fra le palme delle mani inumidite di saliva.
Al noto, sebben lieve romore, accorse soltanto il gattino, e con la coda dritta venne a fregar la testina sulle sottane di donna Maurizia.
«Lasciami in pace, Mimìa», disse ella; ma la bestiola le mise le zampette sulle ginocchia e così ritta sollevò i grandi occhi verdi e sbadigliò mostrando la linguetta rosea.
«E cosa vuoi ora? Aspetta che ti darò da leccare il fuso.»
Ma Mimìa voleva di più, e cercò di ficcare entro la scodella i lunghi baffi argentei.
«Questo poi no! Va via!», gridò donna Maurizia; e il gattino, visto inutile ogni tentativo, con le unghie le tirò fortemente la sottana, poi s’accomodò elegantemente sul pavimento, a coda tesa, aspettando e seguendo con gli occhi il movimento del fuso.
Quando il tuorlo e lo zucchero furon ridotti ad una specie di crema, donna Maurizia si alzò e versò nella scodella il caffè bollente, limpido e rosso come vino.
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