Possiamo immaginarceli coperti di sabbia, eccitati e sconvolti, che correvano lungo la piccola strada assolata, proprio mentre i bottegai alzavano le saracinesche e la gente spalancava le finestre delle camere da letto. Henderson andò subito alla stazione per telegrafare la notizia a Londra. Gli articoli dei giornali avevano preparato gli uomini ad accettare quell'idea.

Alle otto, un gruppo di ragazzi e di fannulloni si era già diretto verso la landa per vedere «i marziani morti» Questa fu la versione della storia che si diffuse. Ne ebbi il primo sentore dal ragazzo dei giornali, circa alle nove meno un quarto, quando uscii per prendere il «Daily Chronicle». Naturalmente restai di stucco e, senza perder tempo, mi diressi, oltre il ponte di Ottershaw, verso le cave di sabbia.

 

3. NELLA LANDA DI HORSELL.

 

Trovai un piccolo assembramento di una ventina di persone intorno all'enorme buca dove stava il cilindro. Ho già descritto l'aspetto di quella massa colossale, sprofondata nel terreno. Pareva che l'erba e il pietrisco intorno ad esso fossero stati carbonizzati da un'improvvisa esplosione. Senza dubbio, l'urto aveva provocato una fiammata. Henderson e Ogilvy non erano lì. Dovevano aver capito, credo, che per il momento non c'era niente da fare, ed erano andati a far colazione a casa di Henderson.

C'erano quattro o cinque ragazzetti seduti sull'orlo della buca, con i piedi penzoloni, che si divertivano - finché non li fermai - a gettare pietre contro la massa gigantesca. Dopo che li ebbi fatti smettere, cominciarono a giocare a rimpiattino tra le gambe dei presenti.

Tra questi, c'erano un paio di ciclisti, un giardiniere che lavorava a cottimo, ai cui servigi ero talvolta ricorso, una ragazza con un bambino in braccio, Gregg, il macellaio, con il suo garzone, e due o tre fannulloni che di solito si aggiravano nei pressi della stazione. Non parlavano molto. A quei tempi, il popolino inglese aveva nozioni vaghissime sui fenomeni astronomici. La maggior parte di loro osservava tranquillamente la grande sommità piatta del cilindro, che stava ancora come Ogilvy e Henderson l'avevano lasciato. Probabilmente avevano creduto di trovare un mucchio di cadaveri carbonizzati, ed erano rimasti delusi di fronte a quella cosa inanimata. Mentre stavo lì, alcuni se ne andarono, altri vennero. Mi calai nella buca e mi parve di sentire una lieve vibrazione sotto i piedi. La sommità del cilindro aveva certamente smesso di ruotare.

La stranezza di quell'oggetto mi fu evidente soltanto quando vi andai molto vicino. A prima vista non era davvero molto più eccitante di una carrozza rovesciata o di un albero caduto sulla strada, tutt'altro. Somigliava, più che a qualsiasi altra cosa, a un gasometro arrugginito mezzo sepolto. Ci voleva una certa dose di preparazione scientifica per accorgersi che l'incrostazione grigia che lo ricopriva non era comune ossido di ferro, e che il metallo d'un bianco tendente al giallo, che brillava nell'interstizio tra il coperchio e il cilindro, era di un colore insolito. Per la maggior parte degli spettatori la parola «astrale» non aveva nessun significato.

In quel momento mi fu del tutto chiaro che la cosa era venuta dal pianeta Marte, ma mi parve improbabile che dentro ci fossero creature viventi. Pensai che quel fenomeno di svitamento potesse essere automatico. Nonostante le teorie di Ogilvy, credevo ancora che Marte fosse abitato. M'indugiai a fantasticare sulla possibilità che all'interno ci fossero dei manoscritti, sulle difficoltà di traduzione che potevano sorgere, o che forse potevamo trovare monete o modelli di strutture e così via. Però, il cilindro era un po troppo grande perché quest'idea fosse plausibile. Ero molto impaziente di vederlo aperto. Verso le undici, poiché sembrava che non succedesse niente, tornai a casa mia, a Maybury, pensando a queste cose. Mi riuscì difficile rimettermi a lavorare alle mie astratte investigazioni.

Nel pomeriggio, l'aspetto della landa era profondamente mutato.