Non ho mai conosciuto un uomo alla cui innata bontà mi appellerei con maggior fiducia.
Molte caratteristiche - di quelle che più danno verosimiglianza a uno schizzo - si erano probabilmente dileguate e attenuate prima che io incontrassi il Generale. I più effimeri sono gli attributi che squisitamente si riferiscono alla leggiadria; la natura non orna un uomo in declino con i fiori di una nuova bellezza, pronti a radicarsi e nutrirsi nelle crepe e negli anfratti del rudere, come i fiori rampicanti sulle rovine di Ticonderoga. Eppure, anche per quanto riguarda la grazia e la bellezza, ci sono delle osservazioni da fare. Di tanto in tanto, attraverso il velo indistinto che lo ostruiva, filtrava un raggio divertito e giocava piacevolmente sui nostri volti. Un tratto di innata eleganza, raramente percepibile negli uomini dopo l'infanzia e la prima giovinezza, si mostrava nell'amore del Generale per la bellezza e la fragranza dei fiori. Si potrebbe pensare che un vecchio soldato apprezzi soltanto l'alloro insanguinato sulla fronte, ma eccone uno che mostrava per la tribù floreale l'entusiasmo di una ragazzina.
Lì, accanto al caminetto, era solito sedersi il Generale, mentre il sovrintendente - di rado tuttavia, quando poteva evitarlo, si assumeva l'arduo compito di impegnarlo in una conversazione - amava starsene a una certa distanza osservando il volto tranquillo, quasi immerso nel sonno. Sembrava remoto da noi, eppure lo vedevamo a poche yarde di distanza; lontano, eppure passavamo accanto alla sua sedia; irraggiungibile, eppure, stendendo la mano, potevamo sfiorare la sua. Forse in mezzo ai suoi pensieri viveva una vita più vera di quanto non facesse in mezzo all'ambiente così inadatto dell'ufficio di un esattore. Le evoluzioni delle parate militari, il tumulto della battaglia, gli arabeschi della vecchia musica eroica, ascoltata trent'anni prima: scene e suoni forse vivi alla sua percezione intellettuale. Nel frattempo c'era l'andirivieni dei mercanti e dei capitani, degli azzimati impiegati e dei rozzi marinai; intorno ferveva con un ininterrotto brusio il trambusto della vita commerciale e doganale, ma sembrava che il Generale non intrattenesse neppure un remoto rapporto con gli uomini e con le loro faccende. Era fuori di posto come lo sarebbe stata, sulla scrivania del viceesattore, in mezzo ai calamai, alle cartelle, ai righelli di mogano, una vecchia spada ormai arrugginita, un tempo scintillante in prima fila nella battaglia e con ancora un bagliore luccicante lungo la lama..
Una cosa mi era molto utile per ricostruire e ricreare il gagliardo soldato della frontiera del Niagara - l'uomo dall'energia autentica e schietta. Era il ricordo di quelle memorabili parole - "Tenterò, signore!" - pronunciate nell'imminenza di un'azione eroica e disperata, pervase dall'animo e dallo spirito coraggioso della Nuova Inghilterra, capaci di comprendere tutti i pericoli e affrontarli tutti. Se nel nostro paese il valore venisse ricompensato con insegne araldiche, questa frase - così semplice da dire, ma che, davanti a un'impresa di pericolo e di gloria, soltanto lui ha mai detto - sarebbe il motto migliore e più adatto per fregiare lo stemma del Generale.
È di grande giovamento alla salute morale e intellettuale di un individuo trovarsi in abituale contatto con persone diverse da lui, ben poco attente alle sue aspirazioni, uomini che lo costringono a straniarsi da se stesso per apprezzare la loro sfera e capacità. Gli eventi della mia vita mi hanno spesso concesso questo vantaggio, ma ciò non è mai avvenuto con maggiore pienezza e varietà di quando fui titolare di quell'ufficio. Fu soprattutto con un personaggio che, a forza di osservarlo, maturai un nuovo concetto di genialità. Aveva, esaltate, le doti dell'uomo di affari, pronto, acuto, lucido, un occhio in grado di penetrare tutte le perplessità e una capacità organizzativa che le dissolveva come al tocco di una bacchetta magica. Cresciuto fin dalla fanciullezza nella Dogana, era questo il campo di attività che gli si addiceva, e i tanti grovigli del lavoro, così fastidiosi per gli estranei, avevano per lui la regolarità di un sistema conosciuto da cima a fondo. Ai miei occhi ammirati rappresentava l'ideale della sua classe. Era invero la Dogana stessa, o, perlomeno, la molla principale che faceva girare in vario modo tutte le rotelline: in una istituzione come questa, infatti, dove i funzionari sono scelti perché perseguano il proprio profitto e la propria convenienza e di rado in base al criterio prioritario della loro idoneità al compito da svolgere, si deve necessariamente cercare altrove la destrezza che non posseggono. Così, per ineluttabile necessità, come un magnete attira la limatura di ferro, il nostro uomo attirava a sé tutti gli intoppi che gli altri incontravano. Con disinvolta condiscendenza e gentile sopportazione per la nostra stupidità - che, a una mente di quello stampo, doveva sembrare poco meno che criminale - immediatamente con un semplice tocco delle dita, rendeva l'incomprensibile chiaro come la luce del giorno. I mercanti lo apprezzavano non meno di noi, gli amici iniziati. Era di assoluta integrità, per lui una legge di natura più che una scelta o un principio; essere onesto e ordinato nella conduzione degli affari è una condizione fondamentale per un intelletto lucido e preciso come il suo. Una macchia sulla coscienza per qualcosa che rientrasse nell'ambito della sua vocazione lo avrebbe turbato - ma con assai maggiore intensità - quanto un errore nel regolamento di un conto o una chiazza d'inchiostro sulla bella pagina di un registro contabile. Avevo insomma incontrato - raro caso nella mia vita - una persona assolutamente adatta al lavoro che svolgeva.
Ecco quindi alcune persone con le quali mi trovai in contatto. Accettando di buon grado dalle mani della Provvidenza di finire scaraventato in un incarico così poco affine alle mie passate abitudini, mi accinsi con zelo a trarne tutto il profitto che se ne poteva ricavare. Dopo aver sperimentato le fatiche e i progetti irrealizzabili dei sognatori di Brook Farm, dopo essere vissuto per tre anni sotto la sottile influenza di un genio come Emerson, dopo i giorni liberi e scatenati sull'Assabeth, abbandonandomi con Ellery Channing a fantasiose speculazioni accanto al fuoco di rami caduti, dopo aver discusso con Thoreau di pini e vestigia indiane nel suo eremitaggio di Walden, dopo essere diventato schizzinoso, per affinità di sentire, a contatto della raffinatezza classica della cultura di Hillard, dopo essermi impregnato di sentimento poetico accanto al focolare di Longfellow, era tempo infine che esercitassi altre facoltà della mia natura e mi nutrissi con un cibo per il quale fino a quel momento avevo mostrato poco appetito. A un uomo che aveva conosciuto Alcott perfino il vecchio ispettore sembrava desiderabile, come cambio di dieta. Ritenevo che, in certa misura, fosse la prova di un sistema per natura ben equilibrato, non sprovvisto di nessuno degli elementi essenziali a un'organizzazione completa, il fatto di riuscire - pur con il ricordo di certi amici - a mescolarmi con uomini di qualità del tutto diverse, senza brontolare per il cambiamento.
La letteratura, con le sue fatiche e le sue mete, aveva scarsa importanza ai miei occhi. In quel periodo non mi interessavano i libri, del tutto straniati da me.
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