La natura - che non fosse quella umana -, la natura che si mostra sulla terra e nel cielo, mi era arcana in un certo senso; era dileguata dalla mia mente tutta l'esaltazione immaginativa con cui l'avevo spiritualizzata. Restava sospeso e inerte dentro di me, se non era scomparso, un dono, una facoltà. Sarebbe stato triste, indicibilmente mesto, se in tutto questo non fossi stato consapevole che stava in me recuperare quanto c'era di valido nel passato. Forse - è vero - era una vita che non sarebbe potuta durare a lungo impunemente, a rischio di diventare diverso, in modo definitivo, da quello che ero stato, senza perciò trasformarmi in una forma che valesse la pena di adottare. Ma non la considerai mai altro che una vita transitoria. C'era sempre un istinto profetico, un lieve sussurro all'orecchio a dirmi che, entro un periodo non lungo, non appena si fosse resa necessaria per il mio bene una modifica di abitudini, ci sarebbe stato un qualche cambiamento.
Nel frattempo eccomi lì, sovrintendente doganale, e, da quanto potevo giudicare, un sovrintendente bravo quel tanto che occorre. Un uomo di pensiero, di fantasia, di sensibilità (se anche possedesse queste doti in misura dieci volte superiore a quella del sovrintendente) può diventare, in ogni momento, un uomo di affari, se soltanto decide di darsene la pena. In questa luce mi vedevano i funzionari miei colleghi, i mercanti, i capitani marittimi, con i quali venivo in contatto nel corso delle mie funzioni, e probabilmente non mi conoscevano sotto altro aspetto. Nessuno di loro, credo, aveva mai letto una pagina dei miei scritti e, se li avesse letti tutti, non per questo mi avrebbe tenuto, neppure minimamente, in maggior considerazione; e non sarebbe servito a migliorare le cose, se quelle stesse pagine inutili fossero sgorgate dalla penna di un Burns o di un Chaucer, entrambi funzionari di dogana ai loro tempi, proprio come me. È una lezione salutare - seppure dura - per chi abbia sognato la fama letteraria e un posto fra i grandi scrittori del mondo, uscire dalla ristretta cerchia dove trovano riconoscimento le sue ambizioni e scoprire quanto siano insignificanti, al di fuori di quella cerchia, le sue affermazioni e le sue aspirazioni. Non so se avessi particolarmente bisogno di questa lezione, come avvertimento o come monito, ma, in ogni caso, l'appresi a fondo, e - mi piace riflettere - la verità, quando l'intesi bene, non mi costò spasmi di dolore e non dovetti mai cacciarla con un sospiro. Quanto alle chiacchiere letterarie - è vero - l'ufficiale navale - un uomo eccellente che, assunto con me, se ne andò poco più tardi - spesso si immergeva a discutere su uno dei suoi due argomenti preferiti: Napoleone o Shakespeare. L'assistente giovane dell'esattore - un giovanotto che, si sussurrava, di tanto in tanto ricopriva un foglio della carta da lettere dello Zio Sam con quanto - a qualche yarda di distanza - assomigliava molto a dei versi - era solito di tanto in tanto parlarmi di libri, come di un tema sul quale forse avrei avuto voglia di intrattenermi. Ecco i miei scambi letterari, ed erano del tutto sufficienti per le mie esigenze.
Ora che non cercavo più e non mi curavo più che il mio nome spiccasse sul frontespizio dei libri, sorridevo al pensiero che aveva ormai un altro tipo di risonanza. Il timbratore della Dogana lo imprimeva con uno stampo, in colore nero, sui pacchi di pepe, sui cesti di anatto, sulle scatole di sigari, sui colli delle più svariate merci soggette a dogana, a testimonianza che tali prodotti avevano pagato l'imposta ed erano stati regolarmente sdoganati. Posta su tale bizzarro veicolo della fama, la notizia della mia esistenza - nella misura in cui può comunicarla un nome - arrivava là dove non era mai andata prima e, mi auguro, non andrà più.
Ma il passato non era morto. A volte, a lunghi intervalli di tempo, rinascevano i pensieri che erano sembrati così vitali e attivi, eppure erano stati messi a riposo in modo tanto tranquillo. Quando in me si risvegliò la consuetudine dei giorni trascorsi, una delle circostanze più significative fu quella che, nell'ambito delle leggi sulla buona creanza letteraria, mi porta a offrire al pubblico lo schizzo che sto scrivendo.
Al secondo piano della Dogana c'è un ampio locale, dove i mattoni e le travi del tetto non sono mai stati coperti con pannelli né intonacati. L'edificio - progettato in origine su scala adatta alla vecchia intraprendenza commerciale del porto e con l'idea di una successiva prosperità destinata a non realizzarsi mai - dispone di molto più spazio di quanto non sappiano che farsene i suoi occupanti. Questo stanzone, sovrastante l'ufficio dell'esattore, non è mai stato a tutt'oggi completato e, malgrado le vecchie ragnatele che festonano le scure travi, ha l'aria di essere tuttora in attesa del falegname e del muratore. A un capo della stanza, in un angolo, c'erano numerose casse, in pila una sull'altra, piene di fasci di documenti ufficiali. E per terra grandi mucchi di simili scartoffie ingombravano il pavimento. Era doloroso pensare ai giorni, alle settimane, ai mesi, agli anni di fatica sprecati su quelle carte ammuffite, ormai soltanto un ingombro sulla terra, nascoste in quell'angolo dimenticato, non destinate mai più a essere viste da occhio umano. D'altra parte quante risme di manoscritti - riempiti non già da uggiose formule ufficiali, ma dai pensieri di menti creative e dalla ricca effusione di cuori profondi - non erano caduti parimenti nell'oblio, senza essere mai stati utili ai loro giorni, come invece erano serviti questi mucchi di carte, e - cosa più triste di tutte - senza aver procurato agli autori quella comoda esistenza che gli impiegati della Dogana si erano guadagnati con quei ghirigori della penna sulla carta! Eppure, forse, non del tutto privi di valore come materiale di storia locale. Senza dubbio vi si potranno scoprire statistiche della precedente attività commerciale di Salem, e memoriali dei suoi principeschi mercanti - il vecchio King Derby, il vecchio Billy Gray, il vecchio Simon Forrester - e molti altri magnati di allora, la cui testa incipriata era appena scesa nella tomba che già cominciava a diminuire il loro mucchio d'oro alto come una montagna. Forse qui si possono rintracciare i fondatori di quasi tutte le famiglie che compongono oggi l'aristocrazia di Salem, dai primi passi insignificanti e oscuri del loro commercio, in un periodo per lo più di molto successivo alla Rivoluzione, fino a quel rango che i discendenti considerano di lunga tradizione.
C'è carenza di documenti prerivoluzionari; i primi atti e archivi della Dogana furono probabilmente trasferiti ad Halifax, quando i funzionari regi si unirono all'esercito britannico in fuga da Boston. Me ne sono sempre rammaricato, perché, risalendo forse ai tempi del protettorato, quelle carte probabilmente contenevano molti riferimenti a uomini caduti nell'oblio o vivi nella memoria, ad antichi costumi, che mi avrebbero dato lo stesso piacere che provavo nel raccogliere le punte di freccia indiane nel campo vicino al vecchio Presbiterio.
Ma in una uggiosa giornata di pioggia ebbi la fortuna di fare una scoperta di qualche interesse. Cacciando il naso e frugando nel guazzabuglio di cianfrusaglie nell'angolo, spiegando questo e quel documento, leggendo i nomi di vascelli da tempo naufragati in mare o marciti sui moli, e quelli di mercanti che non si sentono più nominare alla Borsa e sono a fatica decifrabili sulle muschiose lapidi, osservando questi documenti con quella curiosità mesta, stanca, un po' riluttante, che dedichiamo al cadavere di un'attività morta, e sforzando la mia fantasia, impigrita dallo scarso uso che ne facevo, a suscitare da quelle ossa aride un'immagine dell'aspetto vivace della vecchia città, quando l'India era una regione nuova e soltanto Salem sapeva arrivarci, mi capitò di appoggiare la mano su un pacchetto accuratamente avvolto in un pezzo di vecchia pergamena gialla. La busta aveva l'aria di un documento ufficiale risalente a un'epoca remota, quando gli impiegati redigevano gli atti in una calligrafia rigida e formale su materiali più sostanziosi di quelli in uso oggi. C'era qualcosa in quel pacchetto che stuzzicò un'istintiva curiosità, inducendomi a disfare il nastrino rosso sbiadito che lo legava, con la sensazione che sarebbe venuto alla luce un tesoro.