Alla serena luce del giorno potei studiare la mia situazione con più calma; ripensai al pazzo contegno che avevo tenuto quella notte, e mi posi a ragionare con me stesso: "Supponiamo che la macchina sia definitivamente persa, forse distrutta: è necessario non smarrire la pazienza e la calma, studiar bene questa gente, escogitare un sistema per rimediare al disastro e per procurarmi materiale e strumenti di lavoro. Chi sa che io non riesca alla fine a costruirmi un'altra macchina".

«Mi parve questa la mia unica speranza; ben povera speranza, forse, ma pur sempre preferibile alla disperazione. E poi, dopo tutto, mi trovavo in un mondo bello e singolare. Ma probabilmente la macchina era stata soltanto portata via; bisognava quindi che riacquistassi il dominio di me stesso, che cercassi il nascondiglio e ricuperassi il mio apparecchio con la forza oppure con l'astuzia.

«Balzai in piedi e mi guardai attorno chiedendomi dove avrei potuto lavarmi; mi sentivo stanco, indolenzito e sporco per il viaggio; la freschezza del mattino mi faceva desiderare ancor più di rinfrescarmi io stesso. Mi accorsi inoltre di aver esaurito la piena delle mie emozioni, perché quando cominciai a darmi d'attorno mi stupii dell'intensa eccitazione a cui ero stato in preda durante tutta la notte. Esaminai attentamente il terreno che circondava il praticello, e impiegai qualche tempo in futili domande formulate alla meno peggio e rivolte a ognuna delle persone che incontravo. Nessuna di esse riuscì a capire i miei gesti; qualcuno mi guardò con aria istupidita, altri pensarono che stessi scherzando, e risero allegramente, tanto che feci una fatica enorme a non prendere a schiaffi quelle incantevoli personcine. Era certo uno sciocco impulso, ma il demone della paura, non del tutto domato, si divertiva ancora ad approfittare della mia angoscia.

«Il terreno erboso mi suggerì un'idea migliore: vidi un solco a circa mezza strada tra il piedistallo della sfinge e le orme che avevo lasciato al mio arrivo, mentre mi arrabbattavo attorno alla macchina rovesciata; trovai altre tracce di qualcosa che era stato spostato, sempre in quei pressi, mescolate a strane impronte simili a quelle che avrebbe potuto lasciare un orsacchiotto. Queste attirarono la mia attenzione sul piedistallo. Mi sembra di aver già detto che era di bronzo e non costruito in un unico blocco, ma decorato su due lati da pannelli scolpiti; ora mi accorsi che era vuoto; ed esaminando con cura i pannelli vi scoprii dei lunghi incavi profondi.

Mancava qualsiasi specie di maniglia o di serratura, ma forse i pannelli, se, come supponevo, erano porte, si aprivano dall'interno.

«La cosa era chiara abbastanza, né dovetti compiere un eccessivo sforzo mentale per rendermi conto che la Macchina del Tempo doveva essere dentro il piedistallo: il problema consisteva ora nel trovare la maniera di entrarvi.

«Vidi due persone vestite di color arancione attraversare i cespugli e venire verso di me sotto un gruppo di meli in fiore. Le guardai sorridendo, e feci un cenno per chiamarle; poi, quando si furono avvicinate, indicai loro il piedistallo di bronzo e tentai di spiegare che desideravo aprirlo. Al mio primo gesto fatto in quella direzione i due si comportarono assai stranamente. Non so come spiegarvi l'espressione dei loro volti: supponete di compiere un gesto scorretto davanti a una donna estremamente raffinata, e immaginate l'espressione che costei assumerebbe; i due si allontanarono come se avessero ricevuto il peggiore insulto. Feci lo stesso tentativo con un ragazzo vestito di bianco, e ottenni l'identico risultato; anzi il suo atteggiamento mi fece vergognare di me stesso.

Ma, come sapete, avevo un'assoluta necessità di ritrovare la Macchina del Tempo: tentai, quindi, di nuovo di farmi comprendere dal ragazzo, e questi si allontanò in fretta come avevano fatto gli altri.

Allora fui vinto dalla collera: lo raggiunsi in tre passi, lo afferrai per il colletto, e lo trascinai verso la sfinge; ma quando vidi la smorfia di ripugnanza e di orrore che gli sconvolse i lineamenti, lo lasciai andare.

«Non mi detti ancora per vinto e picchiai coi pugni sui pannelli di bronzo; mi parve di udire qualcosa agitarsi nell'interno - un rumore di risa soffocate, per essere esatto -, ma forse mi ero sbagliato. Raccolsi allora dal fiume un grosso sasso, e mi misi a battere con esso su uno dei pannelli fino a che ebbi appiattito un ornamento a spirale, da cui si staccarono lamine polverose di verderame. I miei delicati ospiti dovevano avermi sentito battere a un chilometro di distanza, e certo erano furibondi, ma nessuno mi si avvicinò; vedevo sul pendio della collina gruppi di persone che mi lanciavano sguardi furtivi. Alla fine, sudato e stanco, mi sedetti per vedere quello che succedeva; ma ero troppo agitato per restare inattivo: sono troppo occidentale per sopportare lunghe attese, potrei lavorare per anni attorno a un problema qualsiasi, ma restare inoperoso per ventiquattr'ore è un altro paio di maniche.

«Mi alzai in piedi e mi misi a vagare senza scopo attraverso i cespugli; poi ripresi la strada della collina. "Pazienza", dicevo tra me; "se vuoi avere la tua macchina devi allontanarti dalla sfinge. Infatti, se costoro vogliono impadronirsene, non concluderai nulla prendendo a sassate i loro pannelli di bronzo; e se invece non hanno questa intenzione, riavrai la macchina appena sarai in grado di spiegarti e di chiederla. Startene qui seduto tra questi bizzarri esseri sconosciuti, davanti a un simile rompicapo, non ha senso e non risolve nulla: in questo modo si arriva solo alla pazzia. Affronta questa gente, studiala, impara il suo sistema di vita, guardati dal fare congetture troppo affrettate; alla fine dovrai pur trovare il bandolo della matassa!".

«Improvvisamente mi balzò agli occhi il lato comico della situazione: avevo studiato e faticato per anni allo scopo di raggiungere l'età futura, e adesso ero divorato dall'ansia di uscirne; mi ero fabbricato con le mie stesse mani la trappola più complicata e più disperatamente diabolica che mente d'uomo avesse mai escogitato; e se adesso questa era scattata a mie spese, peggio per me. Scoppiai in una risata.

' Entrai nel palazzo, e mi parve che i miei ospiti mi sfuggissero. Forse si trattava soltanto di un'impressione, o forse il loro contegno era una conseguenza del mio affannarmi attorno alle porte di bronzo; ma ben presto, allorché fui certo che mi evitavano, mi affrettai a mostrarmi indifferente e a non cercarli.

7
L’animale sconosciuto

«Nello spazio di un paio di giorni la situazione ridivenne normale. Mi studiai di comprendere meglio la loro lingua, e allargai il raggio delle mie esplorazioni del territorio. Certo mi sfuggì qualche sottile sfumatura, ma il linguaggio di quella gente era davvero di un'estrema semplicità, composto soltanto di nomi concreti e di verbi: se esistevano termini astratti, dovevano essere pochissimi; e inoltre i miei ospiti ignoravano affatto il linguaggio figurato, le loro frasi erano raramente formate da più di due parole; talché non riuscii a mettere insieme e a comprendere altro che espressioni del tutto schematiche.

«Decisi di compiere ogni sforzo per non pensare alla Macchina del Tempo e alle porte di bronzo sotto la sfinge, fino a quando avessi potuto disporre di cognizioni che mi permettessero di affrontare l'argomento nella maniera più naturale. Avevo ancora l'impressione, voi mi capite, che era meglio limitare i miei movimenti in un cerchio non molto esteso attorno al punto in cui mi ero fermato arrivando. Per quanto potevo giudicare, tutto il mondo ostentava la esuberante ricchezza propria a quella vallata del Tamigi; dall'alto di ogni collina potevo scorgere la stessa distesa di splendidi fabbricati costruiti con diversi materiali e in diversi stili, le stesse macchie di cespugli sempreverdi, gli stessi alberi carichi di fiori, la stessa ricchezza di acque cristalline; più lontano il terreno saliva dolcemente verso una distesa di colline ondulate e azzurrastre, per perdersi poi nella limpida serenità del cielo.

«Un particolare attrasse la mia attenzione: spiccavano qua e là dei pozzi circolari, alcuni dei quali mi sembrarono assai profondi. Uno di essi era situato presso un sentiero che saliva lungo il fianco della collina, quello stesso che avevo percorso durante la mia prima passeggiata; aveva come gli altri la vera di bronzo minuziosamente lavorato, ed era protetto dalla pioggia per mezzo di una piccola cupola. Mi avvicinai a qualcuno di questi pozzi e guardai giù nella oscurità, senza scorgere scintillio d'acqua; accesi un fiammifero, che non suscitò alcun riflesso nel fondo; però da tutti saliva una specie di ronzio simile al rumore monotono provocato da una grossa macchina, e al chiarore dei fiammiferi scoprii una costante corrente d'aria provenire dal fondo. Gettai allora nell'interno del pozzo un pezzetto di carta; e questo, invece di scendere lentamente in basso, venne aspirato con forza e sparì in un attimo.

«Dopo qualche tempo collegai mentalmente quei pozzi con le alte torri che si ergevano in vari punti sui fianchi delle colline: attorno alla loro sommità l'aria aveva le stesse vibrazioni che si avvertono, in una giornata molto calda, su una spiaggia riarsa dal sole.