Esaminando le cose sotto questo punto di vista, immaginai un sistema estensivo di ventilazione sotterranea di cui però mi sfuggiva il vero significato; e sulle prime fui incline a considerarlo in rapporto all'apparato sanitario di quella gente: conclusione ovvia, ma del tutto sbagliata.
«Arrivato a questo punto debbo ammettere che durante il mio soggiorno nel futuro imparai ben poco su quanto concerne sistemi di trasporto, canali di scarico e cose del genere. Nelle descrizioni utopistiche dei tempi futuri che avevo letto, c'era sempre una quantità di particolari su costruzioni, intese sociali e via dicendo; particolari che è abbastanza facile procurarsi in un mondo fabbricato dall'immaginazione, ma, come dovetti constatare, del tutto inaccessibili a chi vi si trovi realmente in mezzo. Immaginate come descriverebbe Londra un negro appena giunto dall'Africa centrale, al suo ritorno alla tribù!
Che spiegazioni potrebbe dare sulle compagnie di trasporti, sui movimenti sociali, sul telefono, sul telegrafo, sull'organizzazione postale e simili? E sì che saremmo anche disposti a fornirgli tutte le spiegazioni desiderate! Anche ammesso che riuscisse a comprenderle, come potrebbe spiegarle o farle credere ai suoi amici che non si sono mai allontanati dalla propria tribù? E pensate poi come sia insignificante la differenza che corre fra un negro e un bianco dei nostri tempi, paragonata a quella enorme che mi divideva da quegli esseri dell'Età dell'Oro. Avevo, sì, la percezione di molte cose sconosciute che contribuivano a rendermi comoda la vita, ma temo che. non sarei in grado di darvi spiegazioni molto precise, poiché io stesso avevo soltanto un'idea approssimativa dell'organizzazione automatica raggiunta in quel tempo.
«Per quanto riguarda la sepoltura, ad esempio, non vidi traccia di forni crematori o di alcunché potesse suggerire l'idea di una tomba; però cimiteri o forni crematori si trovavano forse in luoghi che non avevo ancora esplorato. Mi posi più volte questo quesito, ma la mia curiosità rimase sulle prime del tutto inappagata; e la cosa mi rendeva perplesso, anche perché avevo notato un particolare che dava molto da pensare: tra quella gente non esistevano né vecchi né malati.
«Debbo confessare che le mie soddisfacenti teorie circa una civiltà automatica e un'umanità decadente non ebbero lunga durata, ma non potevo tuttavia sostituirle con altre. Vi esporrò adesso le mie difficoltà. Ognuno di quei grandi palazzi che avevo visitato disponeva soltanto di sale di soggiorno, di enormi sale da pranzo e di camere da letto; non vi scoprii mai strumenti né apparecchi di alcun genere. Eppure quella gente usava abiti ricavati da splendidi tessuti, e doveva pur rinnovarli; i sandali, sebbene molto semplici, erano l'evidente ed elaborato prodotto di qualche macchina. In un modo o nell'altro queste cose dovevano esser state fabbricate, né quel minuscolo popolo dimostrava davvero di possedere tendenze creative; non esistevano negozi né laboratori, e non notai la minima traccia di un qualche sistema di importazione. Quella gente impiegava le sue ore in allegri passatempi: si bagnava nel fiume, faceva all'amore quasi per gioco, si nutriva di frutta, e dormiva; non riuscivo assolutamente a spiegarmi la provenienza degli oggetti di cui essa si serviva.
«In quanto alla Macchina del Tempo, qualcosa - ma non riuscivo a capire che cosa - l'aveva trasportata nell'interno del piedistallo su cui posava la sfinge bianca. Perché? Per quanto si trattasse di una faccenda di vitale importanza, non riuscivo a spiegarmela. E quei pozzi senz'acqua, quei piloni vibranti?
Sentivo che mi sfuggiva il bandolo della matassa; sentivo... Ma come posso spiegarmi? Supponete di trovarvi davanti a un'iscrizione che contenga frasi in un inglese chiaro e correttissimo in cui siano inserite parole o lettere del tutto sconosciute. Bene, ecco appunto come mi si presentava, nel terzo giorno della mia permanenza, il mondo dell'anno 802.701.
«Proprio quel giorno mi feci una specie di amica: mentre guardavo un gruppo di minuscole personcine che si bagnavano nell'acqua poco profonda del fiume, una di esse fu colta da crampi e corse il rischio di essere trasportata via dalla corrente, piuttosto veloce ma non certo troppo forte per un nuotatore anche mediocre. Potrete farvi un'idea delle strane deficienze di quelle creature, quando vi dirò che nessuna di loro si preoccupò minimamente di trarre in salvo l'amica che urlava, annegando sotto i loro occhi. Allorché me ne accorsi, mi spogliai in un baleno, attraversai a guado il fiume là dove l'acqua era più bassa, afferrai quella poverina, e la portai in salvo a terra. Rinvenne appena le ebbi praticato un po' di massaggio; e quando mi allontanai ebbi la soddisfazione di vedere che stava benissimo. Mi ero formato un'opinione assai poco lusinghiera di quella gente, e quindi non aspettavo certo della gratitudine da parte della creatura che avevo salvato. Ma mi sbagliavo.
«L'episodio di cui vi ho parlato si era svolto di mattina; nello stesso pomeriggio incontrai la mia piccola donna - perché mi era parsa una donna - mentre, dopo un giro di esplorazione, stavo ritornando nel luogo in cui ero sceso dall'apparecchio: mi ricevette con grida di gioia e mi porse un'enorme ghirlanda di fiori intrecciata evidentemente per me e per me solo. La cosa mi commosse, forse perché mi ero sentito fino a quel momento troppo solo e isolato; feci quindi del mio meglio per dimostrare quanto gradivo il dono: sedemmo tutti e due vicini su una pietra all'ombra di un pergolato, impegnati in una conversazione fatta dapprima, più che altro, di sorrisi. Il contegno amichevole di quella creatura suscitava in me lo stesso senso di commozione che avrei provato per la riconoscenza di un bimbo: ci offrivamo a vicenda qualche fiore, lei mi baciava ogni tanto le mani, e io ricambiavo i suoi baci. Tentando dì rivolgerle qualche parola, seppi che si chiamava Weena e, sebbene non conoscessi il significato del nome, esso mi parve abbastanza appropriato alla creatura che lo portava. Cominciò così una strana amicizia che durò una settimana e che finì., come vi dirò tra poco.
«Weena si comportava proprio come una bimba: voleva starmi sempre vicina e mi seguiva da per tutto. Alla prima escursione che intrapresi nei dintorni mi venne in mente di farla stancare; l'abbandonai sola, esausta, mentre mi chiamava col pianto nella voce. Ma era necessario che risolvessi i problemi di quel mondo: non mi ero certo avventurato nel futuro per intrecciare un flirt in miniatura. La disperazione di quella creaturina rimasta sola fu grandissima; le sue rimostranze assunsero un tono frenetico, e penso che, dopo tutto, la sua devozione mi riuscisse spesso più fastidiosa che piacevole. Tuttavia Weena mi era a volte di grande conforto; credevo che si trattasse, da parte sua, di una semplice infatuazione puerile, e quando compresi esattamente quanto dolore le avevo procurato abbandonandola, era ormai troppo tardi; dimostrandosi innamorata dì me, e facendomi comprendere con le sue maniere fanciullesche quanto le stavo a cuore, quello scampolo di donna mi dette quasi la sensazione, al mio ritorno presso la sfinge bianca, di rientrare a casa; e ogni volta che me ne andavo sulla collina mi volgevo a guardare la sua sottile figura vestita di bianco e d'oro.
«Compresi, proprio per merito suo, che la paura non era ancora sparita dal mondo. Weena era abbastanza coraggiosa, durante il giorno, e aveva una bizzarra fiducia in me: una volta che, per scherzo, le feci delle spaventose boccacce, lei scoppiò semplicemente in una risata. Ma temeva il buio, temeva le ombre, temeva tutto ciò che era nero; l'oscurità era per lei una cosa spaventosa.
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