Non potevo ancora sapere che cosa fosse accaduto agli abitanti del mondo sotterraneo; ma, dal giudizio che mi ero fatto sul Morlock - questo, a proposito, era il termine con cui venivano classificati quegli esseri -, mi era facile immaginare che nel loro caso la modificazione dell'esemplare umano era ancora più profonda di quella subita dagli Eloi, cioè dalle belle creature che già conoscevo.
«Allora fui preso da una quantità di spiacevoli dubbi. Dove avevano portato la mia Macchina del Tempo, i Morlock? Ero certo che l'avessero sottratta loro. Ma perché gli Eloi, se erano i padroni, non potevano restituirmela? E perché avevano una così tremenda paura del buio? Come vi ho detto, interrogai più volte Weena per avere schiarimenti sul mondo sotterraneo, ma senza alcun risultato: dapprima non comprese le mie domande, poi si rifiutò di rispondere, rabbrividendo come se l'argomento le fosse intollerabile; quando insistetti, forse con un certo malgarbo, scoppiò in un pianto convulso. Furono le sole lacrime, oltre alle mie, che vidi in quell'Età dell'Oro, e che mi fecero abbandonare di colpo il soggetto dei Morlock, per dedicarmi a cancellare dagli occhi di Weena i segni dolorosi dell'eredità umana. Ben presto la mia amica tornò a sorridere e a battere le mani, mentre io accendevo solennemente un fiammifero.
8
I Morlock
«Vi sembrerà strano, ma passarono due giorni prima che potessi seguire con qualche successo il nuovo filo conduttore, che era senza dubbio quello giusto. I pallidi esseri sotterranei mi ispiravano una specie di repulsione: avevano il colore biancastro dei vermi e di quei pezzi anatomici che vediamo conservati in barattoli pieni d'alcol nei musei zoologici; e inoltre erano orribilmente freddi. Ma è probabile che tale repulsione provenisse dall'influenza esercitata su di me dagli Eloi, di cui cominciavo a condividere il disgusto per i Morlock.
«Quella notte non riuscivo a prender sonno; forse non ero in perfetto stato di salute, certo mi sentivo oppresso da ogni sorta di perplessità e di dubbi. Una volta o due avvertii anche un senso di paura non indifferente, senza che potessi attribuirlo a una ragione ben definita. Ricordo di essere scivolato in punta di piedi nel salone in cui i miei piccoli ospiti dormivano illuminati dal chiaro di luna - quella notte Weena era con loro -, e di aver attinto coraggio dalla loro presenza. Pensai che tra poco la luna, al suo ultimo quarto, non avrebbe più rischiarato la notte, e allora si sarebbero fatte più frequenti le apparizioni delle disgustose creature sotterranee, pallidi lemuri, nuovissimi animali che avevano preso i l posto degli antichi.
«Durante quei due giorni mi sentii inquieto come l i cerchi di sottrarsi a un compito ineluttabile. Avevo la certezza che avrei potuto ricuperare la Macchina del Tempo soltanto penetrando coraggiosamente nel misterioso mondo sotterraneo, ma non sapevo decidermi ad affrontarlo. Se avessi avuto anche un solo compagno la cosa sarebbe stata diversa; ma ero così terribilmente solo, che l'idea di calarmi nel buio di uno di quei pozzi mi riempiva di terrore. Non so se riuscite a comprendere il mio stato d'animo, ma vi ripeto che non mi sentivo affatto tranquillo.
Forse fu questa inquietudine, questa mancanza di sicurezza a guidarmi sempre più avanti e sempre più lontano durante le mie peregrinazioni.
«Mi spinsi a sud-ovest in direzione della località che noi chiamiamo Combe Wood, e potei osservare in lontananza, verso il nostro Banstead, un enorme edificio verde, assai diverso da quelli che avevo visti fino allora. Era più imponente di tutti i palazzi e di tutte le rovine che già conoscevo: la sua facciata ricordava l'architettura orientale, rivestita com'era di una specie di smalto lucido color verde pallido a sfumature bluastre, proprio di certe porcellane cinesi. Questo suo diverso aspetto mi fece supporre che il palazzo fosse adibito a un uso differente dagli altri, il che mi incitò a persistere nella mia esplorazione. Ma il giorno era ormai troppo avanzato, e la strada che mi restava da percorrere troppo lunga e faticosa: risolsi quindi di rimandare l'avventura all'indomani, e ritornai indietro, accolto dal benvenuto e dalle carezze di Weena. Il giorno seguente mi resi conto che la mia curiosità riguardo al palazzo di porcellana verde era soltanto una maniera di ingannare me stesso, consentendomi di rimandare ancora di un giorno un'esperienza che mi faceva paura; perciò decisi di scendere sotto terra senza ulteriori perdite di tempo, e mi diressi di buon'ora verso il pozzo che si trovava accanto alle rovine di quarzo e di alluminio.
«La piccola Weena mi accompagnò fino al pozzo danzandomi accanto, ma quando mi vide chino sull'apertura a guardarvi dentro, parve assai sconcertata. "Arrivederci, piccola Weena", le dissi baciandola; poi la posai a terra, e cominciai a cercare, stando sul parapetto, i pioli per discendere; e lo facevo piuttosto frettolosamente, debbo confessarlo, perché temevo che il coraggio mi venisse meno.
«Da principio Weena mi guardò meravigliata, poi emise un grido che mi commosse; mi corse accanto e si aggrappò a me con tutte e due le manine. Il suo gesto mi spronò all'impresa: la costrinsi forse in maniera un po' brusca a lasciarmi, e dopo un attimo mi trovavo nella gola del pozzo. Vidi il volto disperato di Weena al di sopra del parapetto, e sorrisi per rassicurarla; poi fui costretto a guardare in basso per cercare gli scalini ai quali mi afferrai saldamente.
«Dovetti discendere per circa duecento metri, attaccandomi mani e piedi alle sbarre metalliche fissate alle pareti del pozzo; erano scalini fatti per essere usati da individui molto più piccoli e più leggeri di me, quindi mi sentii ben presto raggranchito e stanco. E non soltanto stanco. Una delle sbarre si piegò improvvisamente sotto il mio peso, e per poco non precipitai nell'oscurità sottostante: restai per un attimo che mi sembrò eterno, appeso per una sola mano, e dopo questa esperienza non osai più indugiare. Le braccia e la schiena mi dolevano, ma seguitai la ripida discesa più in fretta che mi fu possibile. Quando guardavo in alto, vedevo l'apertura del pozzo come un piccolo disco azzurro nel quale si scorgeva anche una stella; e la testina di Weena sembrava una macchia scura e rotonda.
«Il rumore sordo di una macchina saliva dal fondo sempre più forte e più opprimente. Ero circondato dall'oscurità, salvo il minuscolo disco azzurro là in alto; e quando rialzai il capo, Weena era scomparsa. Mi sentii in preda a un disperato sconforto, tanto che pensai di risalire alla superficie del pozzo senza più curarmi del mondo sotterraneo; rimuginavo nella mente questi propositi, eppure seguitavo a scendere. Infine, con mio immenso sollievo, intravidi, a poche decine di centimetri alla mia destra, una sottile feritoia ricavata nel muro. Mi avvicinai ad essa, e scoprii che si trattava dell'imboccatura di una stretta galleria orizzontale in cui potevo sdraiarmi per riposare un poco. Avvertivo un gran dolore alle braccia, avevo la schiena tutta indolenzita, e tremavo ancora per il continuo spavento di una caduta; inoltre, la fitta oscurità aveva avuto un effetto disastroso sui miei occhi. L'aria intorno a me era piena di ronzii e di vibrazioni dovuti ai macchinari che pompavano aria nel fondo del pozzo.
«Non so dirvi per quanto tempo rimasi sdraiato in una specie di semincoscienza, da cui mi destai allorché una mano morbida mi sfiorò il viso.
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