Oltre i tronchi neri degli alberi più vicini il bosco era in fiamme: il fuoco che avevo acceso, e che mi seguiva. Cercai immediatamente Weena, ma non la trovai. I sibili e gli scricchiolii che si levavano da ogni parte, l'esplodere della legna fresca che prendeva fuoco, tutto ciò mi lasciava poco tempo per riflettere. Con la sbarra di ferro stretta in pugno, mi slanciai in una corsa disperata sul sentiero pieno di Morlock. A un certo punto le fiamme alla mia destra mi raggiunsero, e quasi mi circondarono, sicché dovetti buttarmi a precipizio verso sinistra.
Uscii finalmente su uno spiazzo aperto, e nello stesso istante un Morlock mi passò accanto correndo alla cieca, e finì dritto dritto nel fuoco!
«E ora dovevo vedere la cosa più straordinaria e più terribile di tutte quelle che avevo visto nell'età futura. Lo spiazzo in cui mi trovavo era illuminato a giorno dai riflessi dell'incendio; al centro di esso si elevava una collinetta sormontata da un cespuglio di biancospino bruciacchiato; anche il bosco oltre questo terreno elevato era in preda alle fiamme, le cui lingue si contorcevano minacciose, circondando completamente con una cintura di fiamme la minuscola collina. Sulla sommità di essa una quarantina circa di Morlock, bloccati dalla luce e dal calore, si agitavano come pazzi, urtandosi gli uni con gli altri in preda allo sbigottimento. Da prima non mi resi conto che erano accecati dalla luce, e li martellai furioso a colpi di clava, folle di paura, quando mi si avvicinavano: ne uccisi uno e ne storpiai parecchi. Ma quando ebbi osservato bene i gesti di una di quelle ributtanti creature che brancolava sotto il biancospino contro il cielo rosso, ed ebbi uditi i loro lamenti, fui certo che il riverbero della fiamma li rendeva del tutto innocui, e rinunciai a colpirli.
«Ogni tanto uno di essi mi veniva addosso, suscitando in me un brivido di orrore che mi spingeva a far di tutto pur di non toccarlo. Poi la fiamma si spense da qualche parte, e fui preso dal terrore che quelle orrende creature mi vedessero: pensai di ricominciare la battaglia e di ucciderne delle altre prima che questo potesse accadere, ma il fuoco riprese a bruciare ancor più luminoso, perciò rinunciai a colpire.
Salii la collina fra loro, evitandoli il più possibile, in cerca di una traccia che mi facesse ritrovare Weena.
Ma Weena era sparita.
«Sedetti infine sulla sommità dell'altura, fissando la strana incredibile compagnia di cose cieche che brancolavano apostrofandosi con stranissimi suoni ogni volta che la luce delle fiamme le investiva più direttamente. Una cortina di fumo saliva verso il cielo e le stelle occhieggiavano attraverso gli spiragli di questo baldacchino scarlatto, remote come se appartenessero a un altro universo. Due o tre Morlock mi vennero addosso, e io li respinsi col pugno, tremando.
«Mi parve per quasi tutta la notte di essere in preda a un incubo: mi toccavo e urlavo in un folle tentativo di svegliarmi; battevo le mani per terra; mi alzavo in piedi per risedermi immediatamente dopo; vagavo senza una meta; mi sedevo di nuovo; mi strofinavo con forza gli occhi, chiedendo a Dio la grazia di farmi svegliare. Per tre volte vidi un gruppo di Morlock alzare la testa verso l'alto in uno spasimo di agonia e poi cadere tra le fiamme. Finalmente, al di sopra del bagliore dell'incendio che andava perdendo forza, al di sopra delle fluttuanti colonne di fumo nero, al di sopra dei tronchi d'albero smozzicati e della massa di quelle orrende creature che diminuivano sempre di numero, si levò la luce bianca dell'alba.
«Cercai di trovare qualche traccia di Weena, ma non mi fu possibile; certamente i Morlock avevano abbandonato il suo povero corpicino nella foresta.
Non so dirvi quanto mi sentissi sollevato all'idea che essa fosse sfuggita allo spaventoso destino cui era senza dubbio votata; questo pensiero mi spinse quasi a ricominciare il massacro degli abominevoli esseri che mi circondavano, ma seppi frenarmi. Vi ho già spiegato che la collinetta su cui mi trovavo formava una specie di isola nella foresta: dalla sua cima potevo adesso scorgere tra il fumo il palazzo di porcellana verde, e mi fu facile, quindi, orientarmi in direzione della sfinge bianca. E così, mentre il giorno si faceva sempre più chiaro, abbandonai quelle superstiti anime dannate alle loro corse cieche e ai loro lamenti.
«Mi avvolsi i piedi con qualche manciata di erba legata alla meglio, e attraversai zoppicando il terreno coperto di cenere calda e di sterpi bruciacchiati che ancora covavano il fuoco, dirigendomi verso il nascondiglio della Macchina del Tempo. Camminavo lentamente, perché ero quasi esausto e non avevo scarpe; mi sentivo, inoltre, profondamente infelice per l'orribile morte della mia piccola amica. Sembrava che tutte le calamità del mondo si fossero abbattute su di me. Adesso, in questa vecchia stanza così familiare, la sua perdita mi sembra, più che una cosa reale, un dolore sofferto in sogno; ma quella mattina la scomparsa di Weena mi fece sentire di nuovo completamente solo, terribilmente solo. Mi misi a pensare a questa casa, al mio caminetto, a qualcuno di voi, e fui preso da un desiderio doloroso di tornare.
«Così, camminando tra le ceneri fumanti sotto il cielo sempre più luminoso, feci una scoperta: in una tasca dei pantaloni c'era qualche fiammifero; forse la scatola si era rotta, prima che la perdessi.
12
La trappola della Sfinge Bianca
Verso le otto o le nove del mattino mi avvicinai alla terrazza di metallo giallastro da cui, la sera del mio arrivo, avevo scrutato il mondo che mi circondava. Pensai alle affrettate conclusioni tratte quella sera, e risi amaramente della mia presunzione.
«Adesso avevo davanti agli occhi lo stesso splendido scenario, la stessa ricchezza di verzura, gli stessi bellissimi palazzi e le stesse maestose rovine; il fiume dalle acque d'argento scorreva ancora tra fertili sponde; gli abiti variopinti dei graziosi abitatori di quel mondo spiccavano qua e là tra gli alberi; anche adesso qualche gruppo di Eloi faceva il bagno nel punto stesso in cui avevo tratto in salvo Weena; e il ricordo mi ferì come una pugnalata. Ma come macchie nere d'inchiostro sul paesaggio, si alzavano le cupole che rivelavano l'esistenza del mondo inferiore; e soltanto adesso ero in grado di comprendere quello che copriva la bellezza del regno appartenente alle creature elette. I loro giorni trascorrevano felici come lo sono quelli del bestiame al pascolo, e proprio come il bestiame essi non conoscevano nemici né dovevano preoccuparsi per le necessità della vita. E la loro fine era la stessa.
«Pensavo con dolore a quanto era stato breve il sogno d e l l'umano intelletto, e al vero e proprio suicidio che aveva seguito questo sogno. L'intelligenza degli uomini si era adagiata sul benessere, in una società perfettamente equilibrata la cui parola d'ordine era "sicurezza"; e aveva attuato ogni sua speranza, per poi giungere a questo. Un tempo la vita e la proprietà dovevano essere stati quasi perfettamente al sicuro: il ricco non doveva aver avuto timori per il suo denaro, e il lavoratore aveva la vita e il lavoro garantiti. Periodo felice, non turbato dai problemi della disoccupazione e dalle questioni sociali insolute, e che perciò aveva dovuto generare un senso di perfetta sicurezza.
«Esiste una legge di natura che tutti trascuriamo: l'acume intellettuale ci è dato per compensare l'instabilità della fortuna, i pericoli, i guai. Un animale in armonia totale col suo ambiente è sempre un perfetto meccanismo; né la natura fa appello all'intelligenza, fino a quando l'abitudine e l'istinto non diventano insufficienti. Non esiste intelligenza là dove non esiste mutamento né necessità di mutamento; posseggono un'intelligenza soltanto quegli animali che debbono soddisfare molte necessità e affrontare molti pericoli.
«Così, secondo il mio modo di pensare, gli abitanti del mondo superiore avevano raggiunto a poco a poco la loro attuale debolezza rivestita di leggiadria, e quelli del mondo inferiore la loro attività di automi; ma questo ideale stato di cose mancava di un fattore importantissimo anche nel campo della perfezione meccanica: la stabilità assoluta. È chiaro che, con l'andar del tempo, il sistema di nutrizione in vigore nel mondo inferiore, comunque fosse effettuato, aveva cominciato a divenire insufficiente.
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