Madre Necessità, allontanata per qualche migliaio di anni, si era riaffacciata sul mondo inferiore, il quale, vivendo a contatto con le macchine (che, anche quando sono perfette, hanno sempre bisogno di piccole idee originali), aveva probabilmente conservato la facoltà di prendere iniziative, pur possedendo in minore quantità ogni altra caratteristica umana propria ai padroni del mondo superiore. E quando a questi esseri era venuto meno il cibo, essi si erano abbandonati a quello che le antiche abitudini avevano sin allora vietato. Questa è la mia interpretazione di quanto vidi nel mondo dell'802.701. Può essere un'interpretazione errata, poiché nasce da un'intelligenza umana; ma non faccio che riferirvi le cose come esse si manifestarono a me.

«Dopo le fatiche, l'eccitazione e il terrore dei giorni precedenti, e malgrado il mio dolore, la terrazza su cui mi trovavo, il paesaggio tranquillo e il sole caldo erano assai piacevoli. Mi sentivo stanco e pieno di sonno: smisi ben presto di stillarmi il cervello e mi abbandonai a un sonno lungo e ristoratore.

«Mi svegliai poco prima del tramonto; adesso i Morlock non potevano più sorprendermi addormentato; mi stirai e discesi la collina in direzione della sfinge bianca, stringendo in pugno la sbarra di ferro, mentre con l'altra mano giocherellavo coi fiammiferi che avevo in tasca.

«E adesso accadde quello che non mi sarei mai aspettato. Avvicinandomi al piedistallo della sfinge, vidi le porte di bronzo spalancate; qualcuno le aveva fatte scorrere sulle loro guide. Mi fermai di fronte ad esse, incerto se entrare o no.

«L'interno era formato da una piccola stanza: in un angolo, su un rialzo del pavimento, vidi la Macchina del Tempo. Avevo in tasca le piccole leve. Mi trovavo dunque di fronte a una resa; dopo che mi ero così a lungo preparato a stringere d'assedio la sfinge bianca. Gettai la mazza, quasi dispiaciuto di non doverla adoperare.

«Mentre mi avvicinavo al portale, un pensiero improvviso mi balzò nel cervello; una volta tanto avevo afferrato il ragionamento dei Morlock. Repressi una risata, entrai, e mi avvicinai alla Macchina del Tempo: fui sorpreso di notare che era stata oliata e pulita con ogni cura; avevo sospettato fino a quel momento che i Morlock l'avessero fatta a pezzi nel tentativo di raggiungere le loro oscure mire.

«Ero tutto intento a esaminare la macchina, felice anche soltanto di toccarla, quando accadde quello che mi ero aspettato: i pannelli di bronzo scivolarono sulle loro guide e si chiusero di colpo: ero al buio, in trappola; almeno questa era l'intenzione dei Morlock, e pensandoci, risi tra me allegramente.

«Potevo già udire il loro ghignare soffocato: si avvicinavano. Con molta calma feci per accendere un fiammifero; dopo aver rimesso le leve al loro posto sarei sparito come un fantasma. Ma mi era sfuggito un piccolo particolare. Avevo in tasca quella diabolica specie di fiammiferi che si accendono soltanto strofinandoli sulla loro scatola.

«Potete facilmente immaginare come svanì in fretta la calma che avevo mantenuta fino a quel momento; i piccoli bruti erano ormai vicinissimi, uno mi toccò perfino. Sferrai nella sua direzione un colpo nel buio con le due leve e cominciai ad arrampicarmi sul sedile della macchina. Mi sentii toccare da una mano, poi da un'altra, quindi fui costretto a difendere le leve da molte dita rapaci, cercando a tentoni il punto esatto in cui bisognava incastrarle. Per poco quegli esseri repulsivi non me ne sottrassero una, che mi cadde dalle mani; fui costretto a difendermi nel buio a colpi di testa - il cranio di un Morlock mandò un suono sinistro -, e finalmente la ritrovai; la lotta si faceva più serrata di quella che avevo sostenuto nella foresta.

«Riuscii infine a fissare la leva al suo posto; la spinsi, e le dita che mi stringevano scivolarono via; l'oscurità si dissolse, e mi trovai immerso nella stessa luce grigiastra che vi ho già descritta.

13
L’ulteriore visione

«Vi ho parlato della stanchezza e dell'estrema confusione che accompagna un viaggio nel tempo; inoltre, questa volta non mi ero assestato bene sul sedile: mi trovavo quasi sull'orlo, in una posizione quanto mai instabile. Per un tempo indefinito rimasi aggrappato alla macchina che vibrava e oscillava, senza curarmi di seguire sull'indicatore il corso del viaggio; quando guardai di nuovo il quadrante, fui sorpreso di vedere dove ero arrivato. Un manometro della macchina segna i giorni, un altro le migliaia di giorni, un altro i milioni, un altro le migliaia di milioni; ma invece di invertire le leve, le avevo innestate per la corsa in avanti, e quando osservai gli indicatori mi accorsi che l'indice delle migliaia girava in fretta come quello dei secondi in un comune orologio. Seguitavo a viaggiare nel futuro.

«A un certo punto notai uno strano cambiamento: il palpitante grigiore che mi circondava diveniva a ogni tratto più scuro; poi - la velocità raggiunta dalla macchina doveva essere prodigiosa - la guizzante successione del giorno e della notte si fece molto più rapida e sempre più marcata; e da principio questo stato di cose mi rese assai perplesso. L'alternarsi del giorno e della notte e il passaggio del sole attraverso il cielo erano vertiginosi: i secoli venivano divorati.

Infine un persistente crepuscolo avvolse la terra, rotto soltanto dallo scintillare delle comete attraverso il cielo buio. La fascia di luce tracciata dal moto solare era scomparsa da un pezzo; il sole si limitava ormai a sorgere e a tramontare verso ovest, diventando sempre più grande e più rosso; della luna non era rimasta alcuna traccia. Il moto circolare delle stelle si era fatto sempre più lento, e gli astri erano ormai solo dei tremuli punti luminosi; infine, qualche tempo prima che mi fermassi, il sole, enorme sfera scarlatta, restò immobile sull'orizzonte; la vasta cupola incandescente emanava un calore violento e presentava punti in cui si spegneva per qualche attimo; ci fu un momento in cui il suo splendore si ravvivò di nuovo per un breve tempo, per poi ritornare rapidamente al modesto ardore di prima. Compresi allora che non ci sarebbe più stato il flusso e il riflusso della marea e che la terra avrebbe ormai riposato con una sola parte rivolta verso il sole, proprio come ai nostri giorni la luna rispetto alla terra.

«Con molta prudenza, ricordando la mia precedente caduta, cominciai a invertire la direzione della macchina; le lancette girarono sempre più adagio, fino a che quella delle migliaia mi parve immobile e quella che segnava i giorni rallentò la sua corsa e divenne visibile. A un certo punto riuscii a scorgere i contorni di una spiaggia desolata.

«Mi fermai con molta delicatezza e, seduto sulla Macchina del Tempo, mi guardai attorno. Il cielo non era più azzurro, anzi verso nord-est era nero come l'inchiostro, e su di esso spiccavano luminose e ferme le stelle chiarissime; in alto si tingeva di un rosso cupo senz'ombra di stelle, mentre a sud-est il colore si mutava in un lucente scarlatto là dove, sulla linea dell'orizzonte, spiccava rosea e immobile la grande sfera del sole. Anche gli scogli attorno a me erano rossicci, e l'unica traccia di vita che potei a tutta prima scorgere era data dal verde intenso della vegetazione che copriva ogni punto sporgente di queste rocce sul lato esposto a sud-est. Era lo stesso verde intenso del muschio dei boschi o del lichene delle grotte: piante che crescono, come queste, in una perpetua mezza luce.

«La macchina si trovava su una spiaggia in pendenza. Il mare si stendeva verso sud-est, per poi sollevarsi, nella linea luminosa dell'orizzonte, contro un cielo incolore. La distesa d'acqua, senza onde per la mancanza del minimo alito di vento, si sollevava leggermente in un gonfiore oleoso, poi si stendeva di nuovo con un lieve sussurro: il mare eterno viveva e si muoveva ancora.