Fra un minuto toccherò la prima leva, e la macchina entrerà in funzione: cioè passerà nel futuro e scomparirà. Guardatela bene, guardate anche il tavolino, e vi convincerete che non c'è nessun trucco. Non mi piacerebbe distruggere questo modello per poi sentirmi dire che sono un ciarlatano.
Dopo una breve pausa, lo psicologo si volse verso di me come per parlarmi, poi cambiò idea. In quel momento il Viaggiatore del Tempo avanzò un dito in direzione della leva.
— No, — disse improvvisamente, e guardò lo psicologo. — Datemi la mano.
Gliela prese nelle sue, e lo pregò di stendere un dito; fu quindi lo psicologo ad avviare il modellino della Macchina del Tempo verso il suo interminabile viaggio. Vedemmo tutti la leva spostarsi, e sono assolutamente certo che non vi fu il minimo trucco.
Un soffio di vento fece oscillare la fiamma della lampada, una delle due candele sulla mensola si spense, e la piccola macchina girò su se stessa, si fece sempre più indistinta, parve per un attimo incorporea come un fantasma in un vortice scintillante di metallo e di avorio, poi scomparve: svanita! Sulla tavola non era rimasta che la lampada.
Per un minuto regnò nella stanza il più profondo silenzio, rotto infine dalla voce di Filby:
— Ch'io mi possa dannare...
Quando lo psicologo si riebbe dallo stupore, guardò sotto la tavola. A questo gesto il Viaggiatore del Tempo scoppiò in un'allegra risata e ripeté l'ultima domanda dello psicologo:
— Ebbene?
Prese la scatola del tabacco da sopra la mensola del caminetto, e riempì la pipa volgendoci le spalle.
Noi ci fissammo gli uni con gli altri.
— Senta un po', — disse il medico, — fa sul serio?
Crede davvero che quella macchina stia viaggiando nel tempo?
— Ma certo, — rispose il nostro ospite curvandosi sulla fiamma per dar fuoco a uno stecco; quindi si volse, accese la pipa e guardò in viso lo psicologo. (Costui cercò di assumere un'aria disinvolta estraendo di tasca un sigaro e tendando di accenderlo senza averlo prima spuntato.) — E vi dirò di più: ho già quasi finito di costruire una macchina più grande, — e indicò il laboratorio, — e quando sarà pronta ho intenzione di mettermi in viaggio io stesso.
— Ma davvero lei dice che quella macchina adesso sta viaggiando nel futuro? — chiese Filby.
— Nel futuro oppure nel passato: non sono in grado di affermare con certezza quale delle due direzioni abbia preso.
Lo psicologo ebbe un'ispirazione:
— Se è andata da qualche parte, è andata nel passato.
— Perché? — chiese il Viaggiatore del Tempo.
— Perché presumendo che non si sia mossa nello spazio, se fosse diretta verso il futuro sarebbe ancora davanti a noi, per attraversare il tempo presente.
— Ma, — obiettai io, — se viaggiasse nel passato, l'avremmo vista appena entrati in questa stanza; e anche, giovedì scorso, e anche quello precedente, e così via!
— Giusta obiezione, — sentenziò il sindaco della provincia con un tono di perfetta imparzialità, volgendosi a guardare il Viaggiatore del Tempo.
— Neanche per idea, — ribatté questi. Poi fissò lo psicologo. — Questo lo pensa lei perché lei lo spiega così. È un'argomentazione al di sotto della verità, vede, un'argomentazione piuttosto insufficiente.
— Naturalmente, — annuì lo psicologo; e questo ci rassicurò. — Si trattava di un semplice argomento psicologico, avrei dovuto pensarlo: cose abbastanza facili, e che inoltre aiutano talmente il paradosso!
Noi non siamo in grado di comprendere né di apprezzare questa macchina, così come non possiamo isolare con lo sguardo i giri di una ruota o il volo di un proiettile nell'aria. Se la velocità attraverso il tempo è di cinquanta o cento volte maggiore della nostra, se la macchina percorre un minuto mentre noi percorriamo un secondo, la nostra percezione sarà necessariamente ridotta a un cinquantesimo o a un centesimo di quella che sarebbe se la macchina non viaggiasse nel tempo. È abbastanza chiaro. — Sorvolò con la mano lo spazio che aveva occupato il modello.
— Vedete? — concluse ridendo.
Ci mettemmo di nuovo a sedere, e per un minuto o anche più ci limitammo a fissare la tavola. Il Viaggiatore del Tempo ci chiese quindi che cosa ne pensassimo.
— Questa sera tutta la faccenda assume un aspetto abbastanza plausibile, — osservò il medico. — Ma aspettiamo fino a domani, aspettiamo il buon senso del mattino — Vi piacerebbe dare un'occhiata alla vera Macchina del Tempo? — ci chiese il nostro ospite; e, presa la lampada, ci precedette nel lungo corridoio pieno di correnti d'aria che conduceva al laboratorio.
Ricordo con estrema chiarezza la luce vacillante, la danza delle ombre sulle pareti, i contorni della testa possente del nostro ospite; ricordo che lo seguivamo perplessi e increduli, e che vedemmo, appena entrati nel laboratorio, la copia molto più grande del meccanismo che si era dileguato davanti ai nostri occhi.
Alcune sue parti erano di nichel, altre d'avorio, altre ancora sembravano ricavate dal cristallo di rocca. La macchina, nei suoi elementi essenziali, doveva essere finita, ma le traslucide sbarre a spirale posate sul banco accanto ad alcuni fogli da disegno erano ancora incomplete; ne presi in mano una per esaminarla meglio: mi parve fatta di quarzo.
— Senta, — disse il medico, — lei fa sul serio, oppure tutta questa roba è un trucco, come quel fantasma che ci fece vedere a Natale?
Il Viaggiatore del Tempo sollevò la lampada al di sopra della sua testa.
— In questa macchina intendo esplorare il tempo: è chiaro? Non ho mai parlato più seriamente in tutta la mia vita.
Nessuno di noi riuscì a dare un significato preciso a queste parole. Filby mi lanciò un'occhiata al di sopra della spalla del medico; poi mi strizzò gravemente l'occhio.
2
Il ritorno del Viaggiatore del Tempo
Sono convinto che in quei giorni nessuno di noi avesse molta fiducia nella Macchina del Tempo. Il nostro ospite apparteneva a quella categoria di individui troppo abili perché si potesse credere in lui: dietro la sua evidente franchezza ci sembrava sempre di avvertire una sottile reticenza, qualcosa di non perfettamente naturale. Se fosse stato Filby a mostrarci il modello e a spiegarci la faccenda usando le stesse parole del Viaggiatore del Tempo, ci saremmo sentiti molto meno scettici nei suoi riguardi, perché l'avremmo compreso con maggiore facilità: anche un fabbricante di salsicce è in grado di comprendere Filby. Ma il Viaggiatore del Tempo recava nei suoi elementi costitutivi proprio quel pizzico in più di bizzarria che ci vietava di fidarci completamente di lui: cose che avrebbero dato la celebrità a un individuo meno abile si mutavano nelle sue mani in espedienti pieni di malizia. È un grave errore trovare tutto troppo facile; le persone assennate che prendevano sul serio il nostro amico non erano mai del tutto tranquille circa la linearità della sua condotta, e avevano la vaga sensazione che affidare il proprio buon nome a un giudizio emesso su di lui era come decorare una stanza di bambini con porcellane cinesi.
Credo, perciò, che nessuno di noi parlasse molto di viaggi attraverso il tempo, durante quella settimana, sebbene io sia certo che quasi tutti ci pensassimo di continuo, vagliandone attentamente l'ammissibilità, considerando l'inverosimiglianza di un'attuazione pratica di tali teorie, le singolari aperture anacronistiche e la conseguente confusione che ne sarebbero derivate. Per quello che mi riguarda, ero soprattutto preoccupato della faccenda del modello; ricordo di averne discusso col medico, che incontrai quel venerdì all'Accademia di Linneo: l'amico mi disse di aver visto qualcosa di simile a Tubinga, e spese parecchio fiato per dimostrarmi la ragione per cui si era spenta la candela: non fu tuttavia in grado di spiegare come il trucco funzionasse.
Il giovedì successivo mi recai ancora a Richmond - ero, credo, uno degli ospiti più assidui del Viaggiatore del Tempo -, ed essendo arrivato un po' in ritardo, trovai cinque o sei persone già riunite nel salotto; il medico era in piedi davanti al caminetto, e reggeva un foglio di carta con una mano e l'orologio con l'altra. Cercai con lo sguardo il Viaggiatore del Tempo mentre il medico diceva:
— Sono ormai le sette e mezzo, e credo che sarebbe bene sederci a tavola.
— Dov'è?... — chiesi, facendo il nome del nostro ospite.
— Lei è appena arrivato? Succede una strana cosa: il nostro amico è trattenuto fuori di casa e appunto in questa lettera mi chiede di presiedere alla cena se lui, alle sette, non fosse ancora tornato. Dice che ci spiegherà tutto al suo arrivo.
— Mi sembra un peccato lasciar sciupare un pranzo, — osservò il direttore di un ben noto quotidiano; dopo di che il medico suonò il campanello.
Lo psicologo, oltre al medico e a me, era l'unica persona che aveva preso parte alla cena della settimana precedente; il gruppo dei convitati era formato, questa volta, da Blank, il già nominato direttore di giornale, da un giornalista e da un altro individuo: un tale con la barba e dall'aria quieta e timida, che non conoscevo e che, per quanto ricordo, non aprì bocca per tutta la serata. A tavola si commentò l'assenza del padrone di casa, e io suggerii, in tono semischerzoso, che forse stava facendo un viaggetto nel tempo. Fu necessario spiegare la cosa al direttore di giornale, e lo psicologo fece uno schematico resoconto dell'ingegnoso e fantastico paradosso a cui avevamo assistito una settimana prima; era appunto a metà della sua esposizione, quando la porta che dava sul corridoio si aprì lentamente senza alcun rumore. Io, che vi ero seduto proprio di fronte, me ne accorsi per primo.
— Bene arrivato! — dissi.
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