Vedo tutte le difficoltà dell’impresa, tanto più che per molti anni mi sono fermamente rifiutata di sedermi a un tavolino con estranei, perché solo uno studio prolungato della materia può convincere della sua verità. Comunque non riesco a vedere che cosa ci sia di così folle nel comunicare (a seconda delle circostanze) mediante i colpi o i moti di un tavolo o di qualsiasi altro oggetto.

Queste piccole indicazioni di un’entità diversa da noi non sono necessariamente limitate a un tavolo. Le ho ricevute mediante una scatola di cartone, un cappello da uomo, un poggiapiedi, le corde di una chitarra, lo schienale di una sedia e perfino il cuscino del mio letto. E chi, fra i filosofi a cui ho alluso, potrebbe suggerire un più semplice mezzo di comunicazione?

Ho posto la questione in questi termini a uomini di valore: «Supponiamo che voi stesso, dopo essere stato capace di scrivere e di parlare con me, siate stato improvvisamente privato della facoltà di parlare e di toccare e reso invisibile, così che non ci sia possibile intenderci a cenni; a quale miglior mezzo pensate di poter ricorrere per comunicare con me, se non a colpi o movimenti di qualsiasi oggetto ogni volta che viene nominata la parola o la lettera giusta?».

E tutti questi signori di valore non sono mai stati capaci di suggerirmene uno più facile né più manifesto; e, se qualcuno può propormelo, sarò molto lieta di conoscerlo. Gli incidenti che seguono sono tutti avvenuti attraverso i tanto derisi colpi del tavolo, ma ho cercato nondimeno di trarne qualche 26

senso. Scorrendo le note da me fedelmente prese fin dal momento in cui cominciammo a tenere sedute in casa nostra, vi ho trovato molte prove di identità ottenute con la mia stessa medianità e che non possono essere state effetto di una lettura di pensiero. Dedico questo capitolo alla loro descrizione.

Spero che verrà notata l’estrema prudenza con cui lo ho intitolato. Da parte di madre ho nelle vene alcune gocce di sangue scozzese, e credo che mi abbiano aiutato in questa occasione. «Curiose coincidenze». Nemmeno il più capzioso e incredulo dei critici può trovare una menda in un titolo così modesto e senza pretese. Tutti credono nella casuale possibilità di «curiose coincidenze».

Solo nel mese di giugno 1873 riuscimmo a formare un circolo privato e cominciammo a tenere sedute regolari. La ricerca finì con l’interessarci tanto che prendemmo l’abitudine di riunirci ogni sera e di continuare spesso fino alle tre o alle quattro del mattino con nostro grave danno fisico e mentale. Di rado eravamo soli perché per lo più si univano a noi due o tre amici che venivano di fuori, e i risultati erano talora imponenti dato che formavano un circolo molto forte. I rapporti di queste sedute, condotte a volte con un gruppo, a volte con un altro, coprono un periodo di anni, ma mi limiterò a LA MORTE NON ESISTE di Florence Marryat

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riferire pochi incidenti che furono confermati da fatti successivi.

I mezzi con cui comunicavamo con le entità che ci attorniavano erano quelli consueti. Ci sedevamo intorno al tavolo e vi posavamo le mani; io (o qualche altro scelto per quel compito) sillabavo l’alfabeto e avvenivano colpi o movimenti quando pronunciavo la lettera desiderata. Questo, in realtà, non è un procedimento noioso come può apparire, e, una volta presa l’abitudine, si può condurre con questo mezzo una lunga conversazione in non più di un’ora.

Un medium riesce presto a indovinare la parola che deve essere sillabata, poiché, dopo tutto, non sono molte quelle usate in genere in una conversazione.

Qualcuno si era manifestato più volte al nostro tavolo dando il nome di

«Valerie», ma rifiutandosi di dire di più, così che pensavamo si trattasse di uno spirito frivolo e ozioso e avevamo preso l’abitudine di tenerla lontana.

Una sera, comunque, il primo luglio, si era aggiunto al nostro circolo il signor Henry Stacke, quando fu immediatamente sillabato il nome «Valerie» e avvenne la seguente conversazione. Il signor Stacke mi chiese: «Chi è?» e io risposi con noncuranza: «Oh, è un diavoletto! Non ha mai niente da dire». A queste parole il tavolo ondeggiò violentemente e i colpi cominciarono a sillabare.

«Je ne suis pas diable».

«Salve, Valerie! Dunque puoi parlare! Per chi vieni?».

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«Monsieur Stacke».

«Dove lo hai incontrato?».