«Sì, lo sono», mi rispose. «Il mio vero nome è Powell: ho assunto quello di Courtney solo per ragioni professionali».
Tutto ciò era nuovo per me, ma, anche se non lo fosse stato, io non so
parlare il gallese.
Potrei riferire casi di questo genere a dozzine, ma temo di annoiare il mio lettore, senza contare che la maggior parte di essi sono di un carattere così strettamente privato che non potrei pubblicarli. Questo è forse il maggiore inconveniente che si incontra nel cercar di dimostrare la verità dello spiritismo. Le migliori prove che si ricevono sono quelle in cui ci vengono rivelati i più riposti segreti del nostro cuore, che non abbiamo confidato nemmeno ai più intimi amici. Potrei riferire (se avessi il permesso dei LA MORTE NON ESISTE di Florence Marryat
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principali interessati) i particolari di un famoso processo in cui le prove necessarie e i nomi e gli indirizzi dei testimoni furono tutti dati attraverso la mia medianità e permisero che la causa fosse vinta dalla parte che si era rivolta a me pér «informazioni». Alcune delle coincidenze che ho riferito in questo capitolo possono tuttavia essere ascritte dallo scettico al misterioso e sconosciuto potere della lettura di pensiero, qualunque cosa essa sia e in qualunque modo possa manifestarsi indipendentemente dalla medianità; ma come si possa dare una spiegazione dei fatti ve lo dirò nel prossimo capitolo.
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4 - SPIRITI INCARNATI
Tenevo un giorno una seduta in casa mia con un’amica, la signorina Clark, quando uno spirito femminile venne al tavolino e sillabò il nome «Tiny».
«Chi sei?» chiesi, «e per chi vieni?»
«Sono un’amica del maggiore M… » (e pronunciò il nome per intero), «e chiedo il tuo aiuto».
«Sei una parente del maggiore M…?».
«Sono la madre di sua figlia».
«Che cosa desideri che faccia per te?».
«Dirgli che deve andare a Portsmouth e cercare di mia figlia. Non la vede da anni. La vecchia è morta e l’uomo è un ubriacone. Lei si sta mettendo per una brutta strada. Deve salvarla».
«Qual è il tuo vero nome?».
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«Non desidero darlo. Non ce n’è bisogno. Lui mi ha sempre chiamato
“Tiny”».
«Quanti anni ha tua figlia?».
«Diciannove! Si chiama Emily! Voglio che si sposi. Digli di prometterle un corredo da sposa. Può indurla a prender marito».
L’entità comunicò molti altri particolari in proposito che io non posso trascrivere qui. Era la narrazione di una di quelle seduzioni crudeli in cui una ragazza viene messa nei guai per soddisfare le egoistiche brame di un uomo, e la cosa stupì tanto la signorina Clark che me, non avendo mai sentito parlare di questa «Tiny».
Era un argomento troppo delicato perché potessi affrontarlo con il maggiore M… (che era sposato e mio intimo amico), ma lo spirito si presentò tante volte e mi implorò con tanto calore di salvare sua figlia, che infine mi arrischiai a riferirgli la comunicazione. Lui rimase piuttosto sconcertato, ma confessò che era vero e che la bambina, lasciata alle sue cure, era stata affidata a una coppia popolana di Portsmouth; da parecchio tempo non se n’era più occupato.
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