Mentre siete in palcoscenico, apparite seduta in una poltrona di platea. Parecchie persone lo hanno osservato oltre me. Vi assicuro che è vero».

«Ma quando mi vedete?» chiesi stupita.

«Sempre nello stesso momento, proprio prima della vostra entrata alla fine del secondo atto. Naturalmente è solo un’apparenza, ma è molto strana».

Allora gli dissi del singolare senso di sfiducia in me che mi colpiva ogni sera proprio in quell’istante, quando il mio spirito sembrava precedermi in palcoscenico.

Molti anni fa, in India, avevo un amico, che (come molti altri amici) aveva permesso al tempo e alla lontananza di mettersi fra di noi separandoci totalmente. Non lo vedevo né avevo notizie di lui da undici anni e, secondo ogni apparenza, la nostra amicizia era finita. Una sera, la medium di cui ho parlato poco fa, la signora Fitzgerald, mia amica personale, era a casa mia, e, dopo pranzo, pose i piedi sul divano - cosa per lei del tutto inconsueta - e chiuse gli occhi. Lei e io eravamo sole nel salotto, e dopo un poco, le bisbigliai piano: «Bessie, dormi?». La risposta venne dal suo controllo, «Goccia-dirugiada

», una ragazza pellerossa straordinariamente vivace. «No! E’ in trance. C’è qualcuno che viene a parlare con te! Non voglio che venga. Farà star male la medium. Ma è inutile. Lo vedo in questo momento scivolare dietro l’angolo».

«Ma perché deve farla star male?» Chiesi pensando che avremmo avuto una seduta come le altre.

«Perché è vivo, non è ancora morto», rispose «Goccia-di-rugiada», «e i LA MORTE NON ESISTE di Florence Marryat

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vivi fanno sempre star male la mia medium. Ma è inutile. Non posso tenerlo lontano. Venga pure. Ma non trattenerlo a lungo».

«Chi è, Goccia-di-rugiada?» domandai incuriosita.

«Io non lo so! Cerca di indovinare tu! E’ un tuo vecchio amico e si chiama George». A questo punto Bessie Fitzgerald si distese sui cuscini del divano, e

«Goccia-di-rugiada» smise di parlare. Trascorse un po’ di tempo senza che succedesse nulla. La medium tossì e si volse, si terse il sudore sulla fronte, si trasse indietro i capelli, diede qualche colpo sui cuscini e vi si ridistese con un sospiro facendo tutti i gesti di un uomo che cerca di addormentarsi in un 37

clima caldo. Alla fine aprì gli occhi e si guardò languidamente attorno. I suoi gesti inconfondibili e il nome «George» (che era quello del mio amico, allora residente in India) avevano naturalmente risvegliato i miei sospetti circa l’identità di quella entità, e, quando Bessie ebbe aperto gli occhi, chiesi piano:

«George, sei tu?».