Mia figlia (notando la particolare espressione che, a quanto dicono, i miei occhi assumono in queste occasioni) disse: «Mamma! Che cosa vedi?».

«Solo uno spirito», risposi. «E’ salito di sopra».

«Mi domando che utilità c’è nel vederli in questo modo», esclamò Eva (perché questa cara ragazza ha sempre detestato ed evitato lo spiritismo), e io dovetti confessare che realmente ignoravo l’utilità di incontrare un signore dall’aspetto sinistro in maniche di camicia in un soffocante mezzogiorno di agosto. Dopo di che l’episodio mi uscì completamente di mente finché un giorno mi fu inaspettatamente ricordato.

Pochi mesi più tardi dovetti cambiare la governante dei bambini, e la donna che prese il suo posto era una ragazza islandese chiamata Margaret Thommassen, che era in Inghilterra da sole tre settimane. Mi resi conto che la sua educazione era molto al di sopra di quella di una domestica, e che ella era familiare con gli scritti di Swedenborg e di altri autori. Un giorno, mentre salivo le scale della stanza dei bambini per vederli a letto, incontrai lo stesso uomo che avevo visto fuori dalla stanza di mia figlia, in piedi sul pianerottolo superiore come se aspettasse che mi avvicinassi. Era vestito come la prima volta, ma adesso teneva le braccia incrociate sul petto e aveva l’espressione abbattuta, come se fosse addolorato per qualche cosa. Disparve appena raggiunsi il pianerottolo, e io non parlai della cosa con alcuno. Pochi giorni dopo, Margaret Thommassen mi chiese timidamente se credevo nella possibilità che gli spiriti dei defunti tornassero su questa terra. Avendo io risposto affermativamente, parve felice e disse di non avere mai sperato di trovare in Inghilterra qualcuno con cui poter parlare di questo. Quindi mi diede un mucchio di notizie sull’argomento, che costituisce gran parte della religione degli Islandesi. Mi disse di essere preoccupata per il suo fratello 43

maggiore a cui era molto legata. Aveva lasciato l’Islanda un anno prima per divenire cameriere in Germania, e aveva promesso solennemente che, finché LA MORTE NON ESISTE di Florence Marryat

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fosse vissuto, le avrebbe fatto avere sue notizie ogni mese: se avesse cessato di scrivere lei doveva concludere che era morto. Margaret mi disse che da tre mesi non sapeva più nulla di lui, e ogni notte, quando veniva spenta la luce nella stanza dei bambini, qualcuno entrava e si sedeva al piede del suo letto sospirando. Mi fece poi vedere la sua fotografia e, con mio grande stupore, riconobbi subito l’uomo che mi era apparso alcuni mesi prima che sapessi dell’esistenza di una donna di nome Margaret Thommassen. Era stato ripreso in maniche di camicia, proprio come lo avevo visto, e aveva la stessa espressione per me ripugnante e sinistra. Dissi allora alla sorella di averlo già visto due volte in quella casa, ed ella fu piena di ansia e di eccitazione per sapere la verità. Di conseguenza feci una seduta con lei sperando di ottenere qualche notizia del fratello, il quale si manifestò immediatamente al tavolino e

le disse di essere morto, con le circostanze della sua morte e l’indirizzo a cui doveva scrivere per avere i particolari. Dopo avere scritto dove indicato, Margaret Thommassen ottenne la prova materiale della morte di suo fratello, senza di che questa storia non avrebbe alcun valore.

Mia sorella Cecil vive con la sua famiglia nel Somerset, e parecchi anni fa mi recai là per farle visita per la prima volta da quando si era trasferita in una nuova casa che non avevo mai visto. Mi sistemò nella camera degli ospiti, una grande e bella stanza appena ammobiliata da Oetzmann. Ma non potei dormirvi. La prima notte stessa qualcuno prese a camminare su e giù per la stanza gemendo e piangendo presso i miei orecchi, e ciò che mi diede maggiore fastidio fu che lui, o lei, o esso, toccava continuamente il nuovo, e costoso, copriletto con un raspìo che mi allegava i denti e mi faceva balzare il cuore in gola. Cominciai a gridare: «Vattene! Non avvicinarti!» perché la sua vicinanza mi ispirava un orrore e una ripugnanza che raramente ho provato in circostanze simili. Dapprima non dissi nulla a mia sorella, che è piuttosto sensibile all’argomento «spettri»; ma la terza notte non potei resistere più a lungo e le dissi chiaramente che la stanza era infestata e che la pregavo di mettermi nello spogliatoio o in una stanza della servitù piuttosto che lasciarmi lì, perché non potevo chiudere occhio. Allora venne fuori la verità e lei mi confessò che l’ultimo proprietario della casa si era ucciso proprio in quella stanza, e mi fece vedere, sul pavimento di legno, sotto il tappeto, la macchia del suo sangue che ancora restava. Proprio una stanza piacevole per dormirci da soli.

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Un’altra mia sorella, Blanche, viveva in una casa infestata a Bruges, la cui descrizione si troverà nel capitolo intitolato «Storia del monaco».