Questo gesto fece infuriare talmente mio padre, il quale era tutto fuorché un agnellino in quanto a temperamento, che con un salto balzò nel corridoio e le scaricò in piena faccia la pistola. Il fantasma scomparve immediatamente - quel fantasma che, per alcuni minuti, tre uomini avevano osservato insieme - e il proiettile attraversò LA MORTE NON ESISTE di Florence Marryat
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la porta esterna della stanza di fronte fermandosi in quella interna. Mio padre non tentò più di avere a che fare con la «Dama Bruna di Rainham», e io ho sentito dire che essa infesta ancor oggi l’edificio. Che lo infestasse a quel tempo, comunque, non c’è ombra di dubbio.
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Il capitano Marryat non solo aveva queste convinzioni e vi credeva per esperienza personale, ma le divulgò anche nei suoi scritti. Nelle sue opere vi sono molti passi che, letti alla luce di quanto affermo, provano la sua fede nella possibilità che i defunti tornino a visitare questa terra, e nella teoria della reincarnazione o delle vite che si succedono. Ma in nessuno parla più chiaramente che nella seguente pagina che tolgo dal Vascello fantasma:
«Tu pensi, Philip» (dice Amine a suo marito), «che questo mondo sia popolato solo da quelle scorie che noi siamo? Povere cose di argilla, mortali e corruttibili, dominatori degli animali, ma noi stessi di poco loro superiori.
Non trovi, nelle tue stesse scritture sacre, ripetuti riconoscimenti e prove di più alte intelligenze che si frammischiano al genere umano e operano qui in basso? Perché quello che fu allora non dovrebbe essere oggi, e quale maggior danno dovremmo subire oggi, per avere il loro aiuto, che non poche migliaia di anni fa? Come puoi supporre che fosse loro concesso, allora, di scendere sulla terra, e non sia loro concesso oggi? Che è divenuto di loro? Si sono dissolte? E’ stato loro ordinato di tornare? Ma dove? In cielo? E, se in cielo, il mondo e il genere umano sono stati lasciati alla mercé del demonio e dei suoi agenti? Pensi che noi, poveri mortali, siamo stati così abbandonati?
Ti dico chiaramente che io non lo credo. Non abbiamo più, con quelle intelligenze, le comunicazioni che avevamo un tempo perché, via via che diveniamo più illuminati, diveniamo più orgogliosi e non le cerchiamo, ma sono convinta che esistano ancora come un esercito del bene contro un esercito del male, invisibilmente schierati l’uno contro l’altro».
La testimonianza di un simile credo sulle labbra di mio padre è sufficiente.
Non avrebbe scritto questo se non fosse stato pronto a sostenerlo. Non era uno di quegli sciagurati e codardi letterati, che oggi incontriamo fin troppo spesso, troppo paurosi del mondo per rivelare con la bocca le opinioni che tengono chiuse nel cuore. Se fosse vissuto ai nostri giorni, sono sicura che sarebbe stato uno dei più energici ed espliciti fra i nostri assertori dello spiritismo. Basterà questo, comunque, per quel che riguarda la sua testimonianza sulla possibilità che spiriti, buoni o cattivi, tornino a visitare questa terra. Credo che pochi potranno negare l’affermazione che sua figlia non deve vergognarsi di seguirlo sulla stessa strada per cui lui è passato.
Prima ancora che il problema dello spiritismo apparisse nei tempi moderni, io avevo avuto le mie piccole esperienze private sull’argomento. Fin dall’infanzia dovetti abituarmi a vedere, e con grande mio spavento, certe LA MORTE NON ESISTE di Florence Marryat
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forme che mi apparivano di notte. Ricordo in particolare che una era quella di una vecchia molto piccola o deforme, che mi appariva assai spesso. Era solita 14
restare in punta di piedi a osservarmi mentre ero a letto, e, per quanto la stanza fosse buia, io potevo sempre vederla in ogni particolare mentre mi rimaneva vicina, quasi fosse illuminata.
Avevo preso l’abitudine di comunicare queste visioni a mia madre e alle mie sorelle (mio padre ci aveva lasciate da poco) e regolarmente venivo burlata per le mie paure. «Un’altra delle illusioni ottiche di Flo», esclamavano, finché cominciai realmente a pensare che le apparizioni che vedevo fossero dovute a un qualche difetto della mia vista.
Ho udito spesso mio marito dire che, dopo avermi sposata, credeva che non sarebbe mai riuscito a dormire tutta una notte nel suo letto data la frequenza con cui lo svegliavo per descrivergli qualche uomo o qualche donna che avevo visto nella stanza. Ricordo distintamente queste figure. Erano sempre vestite di bianco, cosa che mi faceva immaginare che fossero nativi del
luogo, in India, entrati furtivamente per derubarci, finché, dopo ripetute osservazioni, scoprii che facevano parte di un’altra e più vasta serie delle mie
«illusioni ottiche». Per tutto questo tempo io ebbi un vero terrore di vedere quelli che chiamavo «fantasmi». Nessun amore per le scienze occulte mi induceva a cercare la causa del mio spavento. Desideravo solo non vedere più quelle illusioni, ed ero atterrita di restare sola temendo che mi apparissero.
Ero sposata da circa due anni quando il quartier generale del reggimento di mio marito, il Dodicesimo Fanteria Indigena di Madras, fu trasferito a Rangoon, mentre l’ala sinistra, comandata da un certo maggiore Cooper, fu mandata di rinforzo al bombardamento di Canton. Il maggiore Cooper era sposato da poco, e, per regolamento, sua moglie non aveva il diritto di imbarcarsi per Burmah con il quartier generale; ma, poiché non aveva amici a Madras ed era per di più prossima alla maternità, il nostro colonnello le permise di seguirci a Rangoon e di sistemarsi in una casa non lontana dalla nostra. Un mattino, ai primi di luglio, fui svegliata da una rapida serie di grida in cui era ripetuta una sola parola: «Venite! Venite! Venite!».
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