«Questa sera il nostro whist sarà assai confuso», pensò il medico di corte, ma non lo fece notare e con un lieve inchino da uccello si sedette di fronte alla contessa, che, con le mani percorse da un tremito nervoso, stava distribuendo le carte.
***
IL «NUOVO MONDO».
«A ricordo d’uomo tutti i medici di corte, in Boemia i Flugbeil, sono stati altrettante spade di Damocle sospese su di ogni testa coronata, pronte a precipitare non appena le loro vittime palesassero un qualche sintomo di malattia» - questo era un motto che correva da tempo fra la nobiltà del Hradscin e che ora pareva trovar la sua conferma nel fatto che, alla morte di Maria Anna, la vedova dell’Imperatore, anche il ceppo dei Flugbeil sembrava effettivamente condannato ad estinguersi col suo ultimo rampollo, Taddeo Flugbeil, celibe impenitente, soprannominato il Pinguino.
La vita da scapolo del medico di corte, regolata come il corso di un orologio, veniva ora a subire uno sgradevole disturbo per via dell’avventura notturna provocata dall’apparizione di Zrcadlo il sonnambulo.
Quella notte, in una specie di dormiveglia, si erano alternate immagini di ogni specie, alle quali, alla fine si mescolarono anche, confusamente, i riflessi di certi torbidi ricordi della sua gioventù, ove il fascino di Lisa la boema - a quel tempo ancor giovane e desiderabile - aveva avuto una parte non indifferente.
Un buffo, confuso giuoco di fantasie, nel quale il punto più chiaro fu lo strano senso di stringere un bastone da montagna, finì con lo svegliare il Pinguino ad un’ora insolitamente mattutina.
Ogni anno, e più propriamente il primo giugno, il medico di corte soleva recarsi a Karlsbad per fare una cura; faceva il viaggio in carrozza, perché egli aborriva la ferrovia, da lui considerata come una escogitazione ebraica.
Appena Carletto - questo era il nome del cavalluccio color isabella della sua carrozza - sotto la guida sapiente e sicura di un vecchio cocchiere dal panciotto vermiglio - raggiungeva Holleschowitz, una borgata lontana appena cinque chilometri da Praga, veniva già fatta la prima tappa e solo il giorno dopo si riprendeva il viaggio che, a tappe più o meno lunghe a seconda dell’umore di quel destriero sfiancato, si protraeva talvolta per intere settimane. Giunti a Karlsbad, l’animale poteva pascersi a sazietà di biada, fino a rassomigliare ad una salsiccia lucida poggiante su quattro stecchini. Nel frattempo, il medico di corte prescriveva a se stesso movimento “per pedes”.
L’apparire, sul blocco del calendario posto al disopra del letto, della data «1°
maggio» segnata in rosso, di solito diceva esser ormai gran tempo per preparare le valigie. Ma questa volta il medico di corte non degnò il calendario nemmeno di uno sguardo, anzi non si curò nemmeno di staccar il foglietto del giorno precedente - trenta aprile - recante la preoccupante dicitura: «Notte di Valpurga». Egli andò invece alla scrivania, tirò fuori un enorme album rilegato in pelle di maiale, con angoli di ottone, il quale, a partir dal suo bisnonno, era servito come diario ad ogni maschio della famiglia Flugbeil e cominciò a sfogliarlo là dove erano segnati gli anni della sua gioventù. Per tale via, sperava di riuscire a sapere se egli avesse già incontrato Zrcadlo, dove e quando, perché l’idea di averlo già visto lo tormentava senza tregua.
A partire dal suo venticinquesimo anno e, propriamente, dalla data della morte di suo padre, egli aveva scritto ogni mattino, punto per punto, tutto ciò che aveva visto e sentito il giorno prima e, come i suoi predecessori, aveva contrassegnato ogni giorno con una cifra progressiva. Quel giorno portava il numero 16117.
Non sapendo se egli fosse rimasto scapolo e, quindi, senza discendenti, seguendo anche in ciò l’esempio dei suoi antenati, egli aveva usato fin dall’inizio una scrittura cifrata per tutto quel che riguardava la sua vita amorosa, scrittura intelligibile solo per lui, impenetrabile per ogni occhio profano.
A tutto suo onore, nel libro di simili passi cifrati ve ne erano ben pochi.
Rispetto a quella dei gulyas consumati nell’albergo «Zum Schnell» e registrati con uguale diligenza, la loro frequenza era appena nella proporzione dell’uno a trecento.
Malgrado la coscienziosità con cui un tale diario era tenuto, il medico di corte non poté trovare alcun passo avente una qualche relazione col sonnambulo. Così, alla fine, deluso, ripose il libro.
Nello sfogliare quell’album, si era insinuato in lui un senso di disagio.
Leggendo i singoli appunti, egli si era reso involontariamente conto, per la prima volta, di tutta l’indicibile monotonia ed atonia in cui, in fondo, era trascorsa la sua vita.
Altre volte egli si era sentito quasi fiero della sua esistenza regolare e compassata a tal segno, che nemmeno gli ambienti più esclusivisti della nobiltà dello Hradscin potevano vantarne di simile; e non meno fiero era del fatto, che il suo sangue, benché borghese e non azzurro, da generazioni si era tenuto lontano da ogni agitazione e da ogni mania plebea di progresso. Ma ora, tutto d’un tratto, sotto l’impressione ancora viva di ciò che era avvenuto la notte in casa Elsenwanger, gli sembrò quasi che in lui si fosse destato un impulso, per il quale egli poteva trovare solo dei nomi odiosi: sete di avventura, insoddisfazione, curiosità per cose incomprensibili e ancor peggio.
Sconcertato, si guardò intorno. Le pareti della stanza, disadorne, a semplice intonaco di calce, lo urtarono. Come mai? Era la prima volta che una simile cosa gli succedeva.
Si stizzì con se stesso.
La sua abitazione consisteva in tre stanze situate nell’ala sud del Palazzo Reale, assegnategli dal comando reale ed imperiale di esso, quando egli si ritirò in pensione.
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