«Andate a chiamare quella donnaccia!» comandò la contessa.
La cameriera si fece premurosamente ad eseguire l’ordine.
Frattanto l’uomo aveva ripreso i sensi. Fissò per qualche minuto la luce delle candele, poi si alzò lentamente, senza badare menomamente a quanto gli stava d’intorno.
«Credete che egli abbia avuta l’intenzione di rubare?» chiese sottovoce la contessa alla servitù.
Il cameriere scosse la testa e si toccò la fronte, per alludere che egli riteneva quell’uomo un pazzo.
«Secondo me, si tratta di un caso di sonnambulismo,» dichiarò il Pinguino.
«Nelle notti di plenilunio questi malati sono presi da un inesplicabile impulso a vagare e, senza coscienza, compiono ogni specie di strane azioni, si arrampicano su alberi, case e muri, vanno spesso su esili vie ad altezze da far venire le vertigini, come per esempio su grondaie, con una sicurezza, che assolutamente non avrebbero se fossero desti. - Olà, signor Zrcadlo!» seguitò, rivolto al malato. «Vi sentite ormai abbastanza a posto per tornarvene a casa?».
Il sonnambulo non rispose. Tuttavia la domanda, se non pure compresa, doveva ben averla udita, perché egli volse lentamente la testa verso il medico di corte fissandolo con occhi vuoti ed immobili.
Il Pinguino fece involontariamente un passo indietro, si passò la mano sulla fronte come chi cerchi di ricordarsi e mormorò: «Zrcadlo? No. Il nome mi è nuovo… Eppure conosco quest’uomo! Dove mai posso averlo visto?».
L’intruso era di alta statura, magro, di pelle scura. Capelli lunghi, rari, grigi gli scendevano confusamente dal cranio. Un viso glabro ed allungato, il naso a becco dai tratti decisi, la fronte sfuggente, le tempie strette, le labbra sottili e serrate costituivano, con le guancie imbellettate e un mantello di logoro velluto nero, un tale contrasto, da far pensare non ad un essere vivente ma alla sensibilizzazione di una immagine di qualche torbido sogno.
«Sembra un Faraone dell’antico Egitto che abbia cambiate le proprie vesti con quelle di un commediante, a che non ci si accorga che una mummia sta dietro alla sua maschera» - questo fu il singolare pensiero che passò per un attimo nella mente del medico di corte. «E’ proprio strano che non riesca a ricordarmi dove abbia già visto questo tipo straordinario».
«Quest’uomo è morto», mormorò la contessa, un po’ fra sé e un po’ rivolta verso il Pinguino. E con calma e naturalezza considerò da presso, con l’occhialino, il viso dell’uomo dritto dinanzi a lei, come si farebbe con una statua. «Delle pupille così contratte può averle solo un cadavere. Mi sembra che non possa muoversi, Flugbeil. Ma su, non terrorizzatevi come una donnicciola, Costantino!»
gridò forte verso la porta della sala da pranzo, che si era socchiusa facendo apparire le facce spaventate del consigliere Schirnding e del barone Elsenwanger. «Decidetevi a venire dentro: lo vedete, non morde!».
Il nome «Costantino» agì nell’intruso come una scossa animatrice. Per un istante, un forte tremito lo percorse da capo a piedi e l’espressione del volto gli si mutò di colpo, come chi, padrone fino all’inverosimile dei propri muscoli facciali, improvvisasse delle maschere dinanzi ad uno specchio. Quasi che, sotto la pelle, le ossa del naso, delle guance e del mento gli fossero divenute molli e plastiche, la precedente maschera rigida e altera da re egizio si trasformò e, dopo tutta una serie di strane fasi, andò ad assumere una palese rassomiglianza col tipo di famiglia degli Elsenwanger.
Appena un minuto dopo, questi nuovi tratti avevano talmente cancellato i precedenti, che gli astanti, sbalorditi, lì per lì credettero di avere dinanzi un uomo assolutamente diverso.
Col capo che gli ricadeva sul petto, con una guancia rigonfia come per una gengivite, tanto da far apparire piccolo e affossato l’occhio di sinistra, e il labbro inferiore penzolante, Zrcadlo si mise a camminare a brevi, tremuli passi intorno alla tavola, quindi si tastò con aria indecisa tutto il corpo, cercando qualcosa nelle tasche.
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