Da un sacco nel quale non ci sia dell’oro, certo non potete estrarre oro”. - “E che cosa concludete?” - “Che lo psichismo suppone lo spirito”. - “A me bastano gli elettroni. La vostra idea di Dio, signor abate, è l’attaccapanni illusorio al quale appendete un sogno di felicità e di giustizia, il quale non è che l’istinto di conservazione, trasformato dall’evoluzione di un’eredità secolare”.  

Questo dialogo ha in sé la sua data. L’evoluzione!… L’eredità!… Con quale accento i fisiologi di cinquant’anni fa pronunciavano queste parole nelle quali facevano stare tutta la vita con tutto il suo ignoto! Se Vernat, che era uno di loro, avesse analizzato il suo essere intimo con lo stesso acume con cui soleva esaminare i pazienti nel suo ospedale, avrebbe constatata la limitazione di un’ipotesi falsamente semplice che mutila l’uomo riducendolo all’addizione dei suoi atavismi. Questi non sono che i materiali coi quali noi costruiamo la nostra persona. Appunto a questo lavoro su noi stessi, che presuppone una volontà libera e responsabile, egli invitava i suoi ammalati, quando comandava loro di reagire. Secondo lui, ciò voleva dire “dar loro la scossa morale”. Ed egli stesso, che li suggestionava, altro non era che un volitivo, certo preparato dalle proprie eredità, che però aveva utilizzate per il proprio sviluppo, modificandole invece di subirle. Suo padre, uno dei più brillanti professori di retorica dei licei di Parigi (del quale, fra parentesi Giovanni Vialis era stato allievo) aveva trasmesso al figlio il gusto d’esprimersi bene, il senso dell’ordine nel discorso e quell’istintivo rispetto della gerarchia che appartiene propriamente al funzionario. Questi caratteri si ritrovavano nel medico. Così si spiegavano la lucidità superiore, l’eleganza dei suoi articoli o delle sue lezioni di clinica, e l’importanza quasi ingenua ch’egli attribuiva ai gradi ed agli onori. Ma, sul letterato, egli aveva, a forza di volontà, costruito uno scienziato, e, sul funzionario, un indipendente per tutto ciò che si riferiva alla sua vita privata e alle sue opinioni. Di origine provenzale, come rivelavano i suoi occhi bruni e caldi nel volto fine e mobile, egli aveva disciplinata l’immaginazione, che gli proveniva dalla sua razza, come pure, per mezzo di un costante allenamento, aveva irrobustito il suo organismo, troppo debole per natura. Chi l’avrebbe pensato, al vederlo basso di statura: ma vigoroso, camminare con un’andatura che rivelava l’agilità e la forza? Nella sua qualità di figlio di professore, dominato dalle idee, egli aveva avuto, da studente, quell’indifferenza per le cose esterne che è troppo vicina all’incuria. Un’osservazione di Trousseau era bastata per correggerlo: “Ricordatevi, amico mio, che noi dobbiamo avvicinarci agli ammalati con abiti puliti come le nostre mani”, gli aveva detto con semplicità quel maestro, indicandogli una macchia sul bavero della giacchetta mal spazzolata. Dalle cose piccole alle cose grandi, tutto era disciplina, in quell’illustre clinico; e che cos’è la disciplina, se non l’impero dell’io su sé stesso, l’affermazione, mediante il fatto, che l’anima è una realtà? Dirò ancora che quell’intelligenza, la cui divisa era la sottomissione al fatto, rifiutò sino alla fine di riconoscere il fatto suddetto.  

Invece, ripeto, per un’inconseguenza che ricorda il detto famoso del Padre della Chiesa sulle “anime naturalmente cristiane”, egli riconosceva il fanatismo del dovere, e, come tutti gli uomini di una moralità vera, metteva in prima linea fra gl’imperativi categorici (poiché si serviva volentieri di questa espressione kantiana) l’obbligo professionale.  

- Noialtri medici, - gli piaceva ripetere, - siamo il Soccorso, e immediato, se possiamo. 

Quando Burrachot, salite le scale a quattro gradini alla volta, giunse sul pianerottolo del secondo piano dell’ospedale, Vernat, seguito dai suoi allievi, stava per entrare nella sala in cui era di servizio. In quel momento interrogava l’interno di guardia, circa le osservazioni della notte. S’interruppe, vedendo avvicinarsi il domestico dei Vialis con gli occhi pieni di spavento e con la faccia stravolta:

- Qualcuno della famiglia sta male? - domandò. 

- Ho bisogno di parlarvi in disparte, signor dottore, - rispose Bourrachot. 

- Potrete parlarmi dopo la visita, fra un’oretta. 

- No, signor dottore… - insisté l’altro. E avvicinandoglisi maggiormente, soggiunse sottovoce: - Venite subito! Il signor Vialis si è ucciso poco fa!

Quantunque un medico degli ospedali di Parigi sia troppo assuefatto alle tragedie e alle catastrofi, per stupirsi facilmente, Vernat rimase come atterrato da quella notizia, per alcuni secondi… Poi, rivolgendosi al medico di guardia, domandò:

- E la polmonite del 22?… 

- È già in piena fase risolutiva. Le “punte di fuoco” hanno dato un risultato meraviglioso, come pure l’iniezione di caffeina. 

- Continuate la cura. E poiché non c’è nulla di grave nella sala, provvedete voi al servizio. Del resto, ripasserò prima di mezzogiorno a dare ancora un’occhiata. Andate pure, signori. 

Deposto il camice da ospedale e indossato rapidamente il soprabito, Vernat salì nella sua carrozza per recarsi in via San Domenico. Aveva fatto salire con sé il domestico, e, mentre la carrozza correva, continuava ad interrogarlo, come già aveva fatto nella guardaroba e sulle scale. 

- Dunque, il signor Vialis era appena tornato a casa, dopo aver passata la notte al ministero?..C’era della corrispondenza per lui?… L’ha aperta?… 

- No… 

- In questi ultimi giorni, avevate notato ch’egli fosse triste, irritabile?… 

- No… 

- E aveva appetito? Dormiva?… Non sapete?..- Poi, bruscamente: - Siete da molto tempo in casa Vialis, voi?

- Sì… 

- Dunque, conoscete la famiglia… Sapete che qualche parente del vostro padrone si sia ucciso, nel passato?… Qualche cugino, qualche zio?

- Sì, uno zio, signor dottore, e almeno un altro parente… 

- E come?

- Con una revolverata. Tutti e due così, mi fu detto… 

Certo, quella testimonianza aveva per il medico un’importanza capitale, poiché egli cessò d’interrogare il cameriere e non disse più nulla fino al momento in cui la carrozza si fermò davanti all’abitazione dei Vialis. 

- Ora sapremo se è proprio morto… Sì, - soggiunse, ad un gesto del suo compagno, - finche non si è ascoltato il cuore, non si può sapere… 

- Ah! signor Dottore! - disse Bourrachot, quand’ebbe aperta la porta dell’anticamera ed introdotto il medico, - Se non fosse morto, la signora non piangerebbe come piange!… 

S’udiva ancora lo stesso lamento, lungo e lento, rotto dalla stessa frase, che, ripetuta indefinitamente, dava la sensazione di un delirio:

- Perché, perché m’hai fatto questo?

E la povera donna era ancora stesa a terra accanto al cadavere, e ancora lo abbracciava strettamente, sorvegliata dalla cameriera, che stava sulla soglia, attenta anche al ritorno di suo marito. 

- Signor dottore! - isse ella, sottovoce; - come si fa a staccarla da lui? Ho tentato ancora… Ma ha gridato!… Ho pensato che impazzisse! 

Il medico osservò per un momento quel gruppo tragico, rimanendo immobile. S’era già formato un’idea circa la causa probabile del suicidio. Poiché c’erano state altre morti volontarie, nella famiglia, l’eredità era in giuoco. Ma quale occasione aveva provocato l’atto improvviso? Psicologo troppo penetrante per non aver compreso che un’appassionata tenerezza univa i due coniugi, Vernat era anche abbastanza informato relativamente al retroscena della vita, per non sapere che un’infedeltà fisica è possibile, anche nell’amore più sincero, spesso da parte dell’uomo, qualche volta da parte della donna. Egli ascoltava dunque le, parole che quella sventurata gemeva, quasi senza pronunciarle, e cercava di tradurle.