Dal loro significato esatto, dipendeva la condotta ch’egli avrebbe tenuto verso di lei. La minaccia di pazzia intravista dall’ignorante Maria Bourrachot andava precisandosi per lui. Gli era nota, per averne curati i malesseri, la fragilità nervosa di un organismo che certo poteva essere scombussolato per sempre da un simile trauma psichico… Ma ora bisognava agire. Andò direttamente a lei, e, calcolando che la sorpresa di una presenza inaspettata le avrebbe inflitta una scossa forse salutare, la chiamò tre volte per nome: “Signora Vialis! Signora Vialis! Signora Vialis!”, senza che ella rispondesse.
Allora la prese per un braccio, e trovò una resistenza convulsiva che gli fece temere una pericolosa crisi, se avesse insistito. In quel momento, mentre allentava quella stretta, scuotendo il capo, egli vide la busta lasciata sulla tavola dal suicida. Lesse la soprascritta. Gli si offriva il mezzo che cercava.
- Signora, - disse semplicemente, - vostro marito vi ha scritto.
La vedova si sollevò, con un gesto non meno convulsivo della sua resistenza di poco prima. Vernat le porgeva la busta, tenendola piuttosto alta. Ella dovette staccarsi dal cadavere e alzarsi in piedi, per prenderla. L’avidità di avere la spiegazione dell’atroce enigma vinceva in lei perfino il dolore. Con una mano che non tremava più, ella apriva la busta, senza badare al medico, il quale, inginocchiato ora al posto occupato da lei qualche minuto prima, applicava l’orecchio sul petto del morto, per debito di coscienza professionale. Già dal primo sguardo, egli aveva constatata la rigidezza del cadavere. Disse piano una parola al domestico, che andò - a prendere una salvietta, e poi con questa coprì la testa di Giovanni, alla quale il foro della fronte, gli occhi già vitrei, La bocca aperta, davano un aspetto terribile. Maria Vialis non s’avvide nemmeno di quell’atto. Tutta l’anima sua era assorta nella lettura di quelle due lettere, ogni parola delle quali giungeva a lei come pronunciata dalla cara voce che non avrebbe udita mai più.
IV
L’appello alla madre.
“Cara anima mia, - diceva la prima lettera, - quando ritornerai in casa, io non sarò più. Ti amo appassionatamente, ma non posso sopravvivere al disonore. La qui unita lettera al ministro ti spiegherà tutto. Gliela porterai. È impossibile che egli non comprenda che non gli ho mentito. Non ho che un modo per convincerlo che non sono un traditore, un infame. Sono stato, sì, molto colpevole, ma non come egli ha pensato. Sono colpevole verso di te, verso nostro figlio, andandomene a questo modo. Ma non posso, non posso più vivere. Soffro troppo. Perdono! Perdono! Perdono, amore mio! Ti amo, ma devo lasciarti, perché non vi sia macchia sul nostro nome. Il mio, è il tuo, è quello di Gianmaria. Dio avrà pietà di me. Noi ci ritroveremo. All’essere accusato come sono, e non poter dimostrare la verità altrimenti che col morire, - poiché, insomma, ai morti si crede, - è cosa assai dura! Addio, mio unico amore! Pregandoti di portare tu stessa la lettera al ministro, ti affido il mio onore. ”
L’altra lettera era così concepita:
“Signor ministro,
“L’uomo che vi scrive sta per uccidersi.
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