Amico personale dei Vialis, egli aveva preso con sé il giovane per i motivi che già si dissero, ma anche perché lo sapeva molto sicuro, e perché, nella sua qualità di provinciale, diffidava dei parigini. Nella parzialità ch’egli dimostrava per quel giovane, intelligentissimo, molto fine, ma esitante, c’era un po’ di quell’infatuamento, per metà indulgente e per metà sprezzante, che gli esseri molto maschi provano per i caratteri più deboli, più sensitivi. Ne risultava quella specie di protezione che intimidisce e che paralizza l’espansione in colui che ne è oggetto. Questi si sente, ad un tempo, favorito e disconosciuto. Come avrebbe potuto sopportare, Vialis, lo sguardo di quegli occhi celesti, tanto luminosi sotto le folte sopracciglia arruffate e brizzolate, e l’accento di quella voce profonda, irritata nel rimproverargli una colpa tanto grave? Sì, tanto grave, che il poveretto non comprendeva neppure come l’avesse commessa. Abbandonare una lettera simile. Dimenticarla in una cartella aperta a chiunque, - come l’accaduto dimostrava!… Giovanni Vialis sapeva da quali dubbi fosse tormentato il ministro, diversamente dai suoi colleghi, circa l’esito della campagna elettorale. Solo per il cosiddetto “punto d’onore”, quell’uomo perspicace aveva accettato una solidarietà attiva con lo stato maggiore del suo partito. Avendo approvata l’operazione del 16 maggio, egli era pronto a subirne per proprio conto tutte le conseguenze. Egli si era data una volta per sempre - e il suo confidente lo sapeva - la parola d’ordine che doveva essere quella del duca di Broglie a De Fourtou, quando quest’ultimo volle dimettersi venendo a sapere il risultato dello scrutinio del 14 ottobre: “Noi abbiamo accettato un compito. La nostra missione è penosa e dura. Dobbiamo compierla sino alla fine. ” La fine, era, in caso di sconfitta, per il ministro da cui dipendeva Giovanni Vialis, la perdita d’ogni probabilità di ritornare al potere, una carriera politica spezzata, la rinuncia all’alta ambizione da cui quella personalità forte era dominata. Tutto questo andava unito ad un’irritabilità segreta che spesso si manifestava in violenti scoppi di cui Giovanni era testimone quando il ministro constatava, da parte dei suoi subordinati, o anche dei suoi colleghi, qualche errore di tattica capace di diminuire le ultime probabilità di successo. Che cosa sarebbe avvenuto, quando il suo protetto gli avrebbe detto: “Ho lasciato cadere quell’arma nelle mani del nemico?”.
Ma l’avrebbe impiegata, il nemico? Quella “fuga nella malattia” di cui parla il celebre psichiatra di Vienna - Freud - non è mai più evidente che nel corso di quelle crisi nelle quali l’emotivo si rifugia nell’incertezza, per non essere obbligato a volere. Fra il 29 settembre, giorno in cui la lettera era stata rubata, e il 14 ottobre, estrema data nella quale quella carta potesse servire, poiché era la data dello scrutinio finale, Giovanni Vialis, fin dalla prima mattina, dopo quella notte d’insonnia, si accanì morbosamente a moltiplicare i suoi motivi di dubbio circa l’utilizzazione possibile del documento rubato, e a tacerne, non solo col ladro e col ministro, ma anche con sua moglie, alla quale, secondo un’abitudine tanto dolce, soleva dire tutto, in ogni circostanza. Aveva saputo intanto, fin dai primi giorni d’ottobre, da un amico comune incontrato per via, che Faugières aveva lasciato Parigi. Per andar dove? L’altro non aveva saputo dirlo.- Forse a Puy, per esercitare su Grangier quella pressione prevista da Vialis già dal primo momento? Con quale angoscia, ogni giorno, dopo esser stato informato di quella partenza, egli spiegò i giornali arrivati dall’Alta Loira! Ad ogni lettera coi bolli di laggiù, ad ogni telegramma, egli fremeva. Sta va per leggere la notizia della rinunzia del firmatario della lettera rubata? Una settimana passò, ne cominciò un’altra, e nulla ancora! Il duca di Colombières, il 363, e Grangier, il sedicente candidato indipendente, continuavano la loro campagna. Dunque Faugières non aveva agito. Come si sarebbe potuto sapere, almeno, se egli era al Puy? Vialis esitava perfino a compiere quella piccola inchiesta, che pure non avrebbe dato luogo ad alcun conflitto personale. Non vi accadde, da bambini, di tenere nel cavo della mano un insetto, coccinella o cetonia, che facesse il morto? Moralmente, l’ansioso Vialis era come quell’insetto. Tremava al pensiero d’incontrare, o di creare, un incidente qualunque, e ne aspettava uno, in quel suo stato di stupore febbrile. E poi, si sforzava di tranquillizzarsi. Chi sa? Forse Faugières era stato preso da un rimorso. Utilizzare la lettera, significava colpire crudelmente un amico che era stato sempre gentile e delicato verso di lui. Forse, egli aveva distrutta la lettera, per sfuggire alla tentazione? Così si spiegavano il suo silenzio e la sua assenza. Sicuro che il suo amico doveva essersi accorto della scomparsa del documento, egli lo fuggiva, forse, per non essere costretto a parlargliene… Vialis finiva coll’attribuire a quell’energico, del quale peraltro gli era nota la brutalità, i modi di sentire che avrebbe avuti se fosse stato nei panni di lui. O forse Faugières aveva invece minacciato Grangier, e, semplicemente, gli era fallito il colpo? In tal caso, come mai Grangier non aveva avvertita la prefettura del Puy o lo stesso Vialis? Forse… Ma a che serve enumerare le soluzioni immaginarie inventate a volta a volta dal disgraziato per risolvere l’enigma, per ingannare la penosissima attesa e sopra tutto per non parlare, per non confessare, neppure a sua moglie? Questa vedeva ch’egli si tormentava, ch’egli si rodeva, e nemmeno lei osava parlare. Maria s’era imposto l’affettuoso principio di rispettare i segreti professionali che suo marito poteva, doveva avere, nella sua condizione di confidente d’un alto personaggio Politico.
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