Si chiama un cecco (era uno chèque).

- Ma non voglio andarci. Crederanno sia stato io ad assassinarlo.

- Ebbè, sei uno stupido se non ci vai. Fra uno o due mesi, per esempio, chi vuoi che a Nuoro si ricordi di questo fatto? Tu vai, come che sii un servo, fai delle compre, pigli il resto, e te ne torni tranquillissimo.

- Ma… e non è come un furto?

- Sei uno stupido tu, che il diavolo ti tiri la pelle! Che furto, se il padrone non esiste più? Il furto lo ha fatto colui che gli ha trapassato il collo con una palla. Purché non sii tu…

- Oh, va al diavolo! - disse zio Chircu, ridendo in modo così sincero che escludeva del tutto la strana idea del compagno.

- Perché dunque non dovresti cambiare questo foglio? In ogni caso si può dire d’averlo trovato… Ci sono io, mi pare. Sei una bestia tu? Non vedi che non porti un lembo di stoffa intero?

- Ah, questo è vero! Ma appunto perciò, non diffideranno vedendomi così lacero?

Per il resto, dopo quanto mi dici, non m’importa nulla.

- Ebbene ti presterò le mie scarpe, il mio cappotto, le mie uose.

- E anche il giubbone e la berretta?

- Tu vuoi dunque tutta la veste?

- Se tu vuoi darmela.

- Ma… e allora… qualche cosa…

- Si capisce, ti comprerò qualche cosa. Cosa vuoi che ti compri?

- Quello che vuoi tu.

Per qualche tempo zio Chircu Barabba si sentì meno infelice di prima.

Pensava alle belle cose che si sarebbe comprate; agli scarponi, alla veste, all’accetta nuova. Anche roba da mangiare avrebbe comprato, del pane, del lardo, del vino. In fondo in fondo sentiva un po’ di scrupolo e di paura, ma dopo tutto era cosa trovata, e, caso mai, egli credeva ingenuamente che sarebbe bastato dir la verità per liberarsi di ogni molestia. Ogni volta che il compagno veniva a prender le legna lo incoraggiava, e una volta giunse a dirgli che se infine aveva paura sarebbe andato lui.

Ma zio Chircu, dopo gl’imbrogli della legna, non volea fidarsi, e preferì recarsi egli stesso a Nuoro.

Andò difilato a comprar un paio di scarponi di cuoio giallo con dei chiodi così grossi che parevano d’argento, e lunghe correggie nere. Si misurò, strinse le correggie, le slargò, e calzò di nuovo le scarpe dell’amico che gli stringevano assai gli enormi piedi neri. E fu non senza batticuore che cavò fuori dalla cintura lo chèque del morto. Il mercante lo prese, lo esaminò: nessun muscolo 12

del suo viso si mosse, eppure in quel momento egli decise il destino del povero zio Barabba.

- Non ho cambio, - disse, - ma se aspettate un momento, lo manderò a cambiare qui, dal mio vicino.

Zio Chircu provò una leggera inquietudine, ma lasciò fare.

Nel mentre pensò bene di levarsi ancora le scarpe dell’amico e calzare i nuovi scarponi, più comodi, sebbene un po’ troppo pesanti.

- Son duri come di pelle di diavolo, - pensava palpandoli, curvo fino a terra, -

ma ci metteremo un po’ di grasso e diverranno morbidi: come sono belli, ma proprio belli!

L’uomo che il mercante aveva mandato a cambiare il foglio tardava assai: inquieto e nervoso, il mercante si faceva ogni tanto alla porta e guardava lontano. Alla fine l’uomo ritornò: subito dietro di lui entrò un signore molto ben vestito, con due labbra grosse e rosse, e dietro questo signore entrarono due poliziotti. Zio Chircu sentì raffreddarglisi il cuore: intuì ciò che doveva accadere, e per un momento ebbe paura. Ma tosto pensò:

- Dirò la verità, e basterà.