E zio Juanne Battista rimase solo, all’ombra del portone, davanti al grande paesaggio verde, fiorito e solitario.
Qualche tempo dopo, Bellia, il servo di Antonio Dalvy, fu arrestato in flagrante spaccio di biglietti falsi. Perquisito, gli si rinvenne addosso una non piccola somma in biglietti, in parte buoni, in maggior parte falsi.
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Egli parve o finse abilmente cascar dalle nuvole: disse che la somma era sua, che erano i suoi risparmi, il suo lavoro di dieci anni; poi depose di aver trovato un involto di denari, e che credendoli buoni se li aveva appropriati; e infine si confuse e contraddisse in mille modi. Fu condannato a tre anni e cinque mesi di reclusione.
Egli era un uomo bilioso, astuto, malvagio: il suo viso terreo, un gran naso spaccato nel mezzo, due occhi rossi e cisposi, inspiravano repugnanza a guardarlo.
Mentre stava in carcere e gli si instruiva il processo, trovò modo di mandare una persona fidata da Antonio Dalvy, dicendogli che cercasse in tutti i modi di salvarlo, ché altrimenti il negoziante se ne sarebbe amaramente pentito.
Interrogato, Dalvy aveva favorevolmente deposto in difesa del servo, ma ora, a quell’ingiunzione minacciosa, si fece rosso d’ira, sbuffò, e per poco non prese a calci la persona fidata.
- Il becco ladro! - gridò. - Che ci ho da veder io con lui? Sta a vedere che dice di averglieli dati io i biglietti falsi. Andate via, e fategli sapere che se pronunzia il mio nome, starà per molto tempo al servizio del re (in carcere).
La persona fidata se ne andò; di lì a pochi giorni tornò, ed ebbe un altro colloquio con Antonio Dalvy. Questa volta costui non gridò: solo fece vedere alla persona fidata una carta, per la quale Bellia s’obbligava di servir gratis un anno intero il signor Antonio Dalvy, dopo avergli rubato un bue grasso.
Scoperta la cosa, s’erano arrangiati con quell’obbligazione.
- Che non mi rompa dunque le scatole, andate via!
Mise così alla porta, per la seconda volta, la persona fidata. Questa, però, tornò una terza volta:
- Che almeno la vossignoria gli cerchi e paghi un buon avvocato; che gli mandi qualche cosa in carcere; che uscendo di là lo accolga di nuovo al suo servizio.
- Altra palla che gli trapassi il fegato! - gridò Dalvy, con gli occhi brillanti come smeraldi. - In quanto al servizio, vedremo quando sarà fuori, il che non sarà né oggi né domani. Ma per il resto, uscitemi di tra i piedi, se non volete pigliar la parte vostra.
La persona fidata se ne andò mogia mogia, e non tornò più. Bellia fu condannato.
I suoi compagni di disgrazia lo vedevano darsi alla disperazione, mordersi i pugni, tirarsi i capelli, digrignare i denti. Anche nel sonno sbatteva la testa sul giaciglio, e gemeva come un cane arrabbiato.
Poi fu portato via, lontano, e per lungo tempo non si seppe più nulla di lui.
Zio Juanne Battista intesseva sempre le sue stuoie e intrecciava i suoi cestini all’ombra del portone, davanti al gran paesaggio verde, fiorito e solitario.
Erano scorsi circa quattro anni, dopo che aveva venduto la giumenta a quel grosso signore dagli occhi di gatto, come egli diceva, che gli aveva anche cambiato i denari.
Solo quattro anni: ma il custode pareva invecchiato di dieci o dodici anni. Era triste, cupo: sembrava un eremita decrepito, invaso da crudeli rimorsi.
Inoltre i tempi si rendevano cattivi; la gente passava dritta davanti alla chiesa segnandosi, senza entrare neppure nel primo cortile: l’obolo veniva meno.
Quell’anno zio Juanne aspettava con certa ansia la festa.
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